No, gli manca proprio la stoffa del leader, e quanto ne sentiamo la mancanza, in questi tempi burrascosi!
All’inizio della pandemia, pur vedendo ciò che avveniva in Cina e in Italia, la chiamava “un raffreddore”. Poi, con la pressione dei numeri e delle storie tragiche in tante famiglie del Brasile, si è sfogato: “Mi chiamo Messia ma non faccio miracoli!”.
Di questi ultimi tempi, non potendo più negare l’evidenza, ha iniziato a camuffare o nascondere i dati ufficiali. Dice: “Tutti moriamo per qualche motivo, prima o poi”…
Il Presidente della Repubblica è un riflesso distorto del volto del Brasile, come gli specchi dei parchi giochi, che deformano le immagini e le rendono ridicole.
Bolsonaro sembra incapace di tenere insieme uno staff di governo competente.
Ha già cambiato tre Ministri della Sanità, nel periodo più delicato di gestione della pandemia. Ognuno proponeva strategie diverse, e tutt’oggi il Paese non ha un piano strutturale, coerente e comune per affrontare il virus, sia sul piano della cura che della prevenzione.
Si è circondato di militari: sono membri dell’Esercito 10 di 22 ministri, e circa 130 funzionari nel primo livello di gestione dei ministeri. Più di quelli che componevano il primo governo della dittatura militare, nel ’64.
Ha perso l’appoggio del Ministro della Giustizia, altra figura controversa, eletta sulla scia dell’onda di odio al Partito dei Lavoratori (PT). Dimessosi, l’ex ministro ha iniziato a smascherare una serie di collusioni del Presidente: una buona tattica per sviare l’attenzione dai giochi sporchi che il Ministro stesso aveva messo in atto per ottenere l’incarico.
Anche la politica economica è barcollante. In uno scenario che prevede recessione di circa 8%, il Ministro dell’Economia continua a ripetere come una filastrocca la soluzione della Scuola di Chicago: privatizzare, finanziare i grandi detentori di capitale (multinazionali e banche), tagliare le spese sociali (uno sterminio, in tempo di pandemia).
I popoli indigeni fanno una lettura ben più critica di questa apparente disorganizzazione, e denunciano una deliberata strategia di sterminio delle minoranze, per impadronirsi dei loro territori. Non riuscendo a cooptare la maggior parte delle comunità, il governo sembra optare per indebolirle e renderle sempre più dipendenti da soluzioni proposte dall’esterno.
Lo confermano rivelazioni di una riunione ministeriale di aprile scorso: il Ministro dell’Ambiente proponeva di approfittare della “distrazione” mediatica concentrata sulla pandemia, per far passare velocemente misure di flessibilizzazione ambientale. Obiettivo? Facilitare l’espansione dei grandi progetti nelle terre considerate ancora “libere”, perché tutelate dalla legge che impedisce attività estrattive.
Alimentare la confusione e l’incertezza sociale pare essere una strategia efficace per conservare il potere, con la minaccia sempre più consistente di un intervento delle Forze Armate in appoggio all’esecutivo, in nome della stabilità.
Si tratterebbe, potremmo dire, di una “teoria del caos organizzato”, con un forte appoggio di chi detiene le armi (comprese le milizie mafiose, il cui legame con il Presidente è investigato da tempo). L’appoggio di grandi imprenditori brasiliani e di organizzazioni e reti straniere garantisce ancora sostegno economico, consulenza strategica e supporto politico, per lo meno finché lo si ritenga opportuno e conveniente.
Dietro le apparenze, il pagliaccio del circo sta conducendo lo spettacolo in fedeltà a un progetto di potere, che si alimenta di odio e di morte.
domenica 9 agosto 2020
venerdì 5 giugno 2020
Ci stiamo ammalando
Ci stiamo ammalando. Ma non si tratta solo del Covid-19.
Sì, il virus è arrivato con tutta la sua forza in Brasile, che a maggio era il paese latinoamericano con il più alto tasso di letalità - pur con dati parecchio sottostimati, per la disorganizzazione del sistema sanitario nazionale.
Uno studio dell’Imperial College di Londra a fine aprile indicava il nostro paese al primo posto nel mondo per il tasso di contagio: in media, ogni persona con coronavirus trasmette la malattia ad altre tre, mentre in Germania questo indicatore è allo 0,8.
Uno dei motivi di quest’altra sconfitta per 7 a 1 è la precarietà delle abitazioni della gente e la difficoltà del loro isolamento. Un altro motivo è l’ambiguità irresponsabile e criminale del Presidente della Repubblica, il cui governo non ha adottato una politica chiara e rigorosa di prevenzione e investimento nella cura.
Questo ci porta ad una seconda malattia del Brasile, oggi: la crisi politica. Anche la democrazia nel paese si trova in bilico.
Decine di denunce sono state presentate al Parlamento e al Supremo Tribunale Federale per crimini di responsabilità di Bolsonaro, che non rispetta le regole di prevenzione sanitaria raccomandate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e che ha partecipato più volte a manifestazioni di estrema destra invocando l’intervento militare e l’esclusione del potere legislativo e giudiziario. Inoltre, sono sempre più evidenti schemi di collusione della famiglia Bolsonaro con le milizie di Rio de Janeiro, e tentativi di ingerenza del Presidente sulla Polizia Federale carioca, per proteggersi.
L’arroganza di quest’uomo al potere è sostenuta dietro le quinte dagli interessi dei detentori del grande capitale, e pubblicamente da un gruppo significativo di militanti fanatici che fanno uso di violenza, minacce, calunnie e pregiudizi. Si intravvedono forti somiglianze con le squadracce fasciste, che oggi si manifestano in piazza e nell’agorá virtuale.
È la terza malattia: una degenerazione morale che ha fatto uscire dagli armadi gli scheletri del razzismo, del potere unicamente in funzione dei soldi, di una cultura ancora fondata sulla relazione tra padroni e schiavi, per cui la vita umana è una risorsa usa e getta.
È difficile muoversi come missionari, in un contesto che rinnega tanti sforzi di persone e organizzazioni popolari che hanno investito per anni sul Vangelo, la giustizia, i diritti umani…
Sorprende l’efficacia dell’attacco sistematico a questi valori e alle strutture sociali che li proteggevano.
Eppure, ci dà speranza la posizione coraggiosa della Chiesa in questa congiuntura avversa. Malgrado le contraddizioni e ambiguità interne, la CNBB ha preso posizioni chiare e coraggiose, di questi tempi, riproponendosi come uno degli attori che possono contribuire al riscatto di questa deriva storica.
Orienta l’immagine ispiratrice di Papa Francesco, che presenta la Chiesa come un ospedale di campagna. In un Brasile per tanti aspetti ammalato, questo ospedale si propone la cura (con azioni di solidarietà, gestione organizzata dell’emergenza, vicinanza samaritana ai gruppi più segnati dalla pandemia e dalla crisi economica), la diagnosi (offrendo chiavi di lettura critica e profetica sulle cause che hanno portato alla necrosi delle relazioni sociali e ambientali) e la prevenzione (rifondando percorsi comunitari che fanno della carità una opzione politica, una proposta di nuovi modelli economici e nuovi percorsi educativi).
Sì, il virus è arrivato con tutta la sua forza in Brasile, che a maggio era il paese latinoamericano con il più alto tasso di letalità - pur con dati parecchio sottostimati, per la disorganizzazione del sistema sanitario nazionale.
Uno studio dell’Imperial College di Londra a fine aprile indicava il nostro paese al primo posto nel mondo per il tasso di contagio: in media, ogni persona con coronavirus trasmette la malattia ad altre tre, mentre in Germania questo indicatore è allo 0,8.
Uno dei motivi di quest’altra sconfitta per 7 a 1 è la precarietà delle abitazioni della gente e la difficoltà del loro isolamento. Un altro motivo è l’ambiguità irresponsabile e criminale del Presidente della Repubblica, il cui governo non ha adottato una politica chiara e rigorosa di prevenzione e investimento nella cura.
Questo ci porta ad una seconda malattia del Brasile, oggi: la crisi politica. Anche la democrazia nel paese si trova in bilico.
Decine di denunce sono state presentate al Parlamento e al Supremo Tribunale Federale per crimini di responsabilità di Bolsonaro, che non rispetta le regole di prevenzione sanitaria raccomandate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e che ha partecipato più volte a manifestazioni di estrema destra invocando l’intervento militare e l’esclusione del potere legislativo e giudiziario. Inoltre, sono sempre più evidenti schemi di collusione della famiglia Bolsonaro con le milizie di Rio de Janeiro, e tentativi di ingerenza del Presidente sulla Polizia Federale carioca, per proteggersi.
L’arroganza di quest’uomo al potere è sostenuta dietro le quinte dagli interessi dei detentori del grande capitale, e pubblicamente da un gruppo significativo di militanti fanatici che fanno uso di violenza, minacce, calunnie e pregiudizi. Si intravvedono forti somiglianze con le squadracce fasciste, che oggi si manifestano in piazza e nell’agorá virtuale.
È la terza malattia: una degenerazione morale che ha fatto uscire dagli armadi gli scheletri del razzismo, del potere unicamente in funzione dei soldi, di una cultura ancora fondata sulla relazione tra padroni e schiavi, per cui la vita umana è una risorsa usa e getta.
È difficile muoversi come missionari, in un contesto che rinnega tanti sforzi di persone e organizzazioni popolari che hanno investito per anni sul Vangelo, la giustizia, i diritti umani…
Sorprende l’efficacia dell’attacco sistematico a questi valori e alle strutture sociali che li proteggevano.
Eppure, ci dà speranza la posizione coraggiosa della Chiesa in questa congiuntura avversa. Malgrado le contraddizioni e ambiguità interne, la CNBB ha preso posizioni chiare e coraggiose, di questi tempi, riproponendosi come uno degli attori che possono contribuire al riscatto di questa deriva storica.
Orienta l’immagine ispiratrice di Papa Francesco, che presenta la Chiesa come un ospedale di campagna. In un Brasile per tanti aspetti ammalato, questo ospedale si propone la cura (con azioni di solidarietà, gestione organizzata dell’emergenza, vicinanza samaritana ai gruppi più segnati dalla pandemia e dalla crisi economica), la diagnosi (offrendo chiavi di lettura critica e profetica sulle cause che hanno portato alla necrosi delle relazioni sociali e ambientali) e la prevenzione (rifondando percorsi comunitari che fanno della carità una opzione politica, una proposta di nuovi modelli economici e nuovi percorsi educativi).
lunedì 11 maggio 2020
Questo virus non é democratico!
O il lavoro o la salute: ad un certo punto le persone devono anche sapersi accontentare!
Ci sono sempre più angoli nascosti, nel mondo, in cui questa alternativa si rende esplicita.
Nelle regioni che hanno sete di sviluppo è facile installare, con gli sconti e gli occhi chiusi dello Stato, progetti industriali inquinanti, miniere a cielo aperto, monoculture inzuppate di agrotossici. L’economia deve crescere, e per farlo deve appoggiarsi su alcune “zone di sacrificio”.
Alla gente che vive in queste regioni sono imposte alternative sataniche: “Se realmente avete bisogno di lavoro, occorre che accettiate, almeno un po’, gli effetti collaterali dello sviluppo. Se preferite preservare la salute, forse è meglio che non stiate qui”.
Il risultato sono comunità intere di lavoratori e famiglie con la capacità respiratoria pregiudicata dall’inquinamento e le difese immunitarie indebolite dai veleni tossici dell’agrobusiness.
Queste persone testimoniano con la loro vita che la pandemia di COVID19 non è democratica. È vero, può raggiungere tutti. Ma le conseguenze del suo passaggio saranno molto diverse, a seconda delle condizioni di vita di chi colpisce.
Il virus è una cartina di tornasole, che rivela le disuguaglianze strutturali delle nostre “democrazie” e che purtroppo, molto probabilmente, le acuirà.
Vediamo alcuni esempi di come avviene l’impatto del virus nelle società latinoamericane.
L’Organizzazione Mondiale del Lavoro considera l’estrazione mineraria un settore estremamente insalubre. Le regioni in cui si installano questi progetti possiedono, in vari casi, alti livelli di tumori, malattie respiratorie e inquinamento. Eppure, le imprese minerarie stanno continuando ad operare, in tempo di pandemia, a tutto vapore. Gli operai lavorano frequentemente a stretto contatto tra loro, mettendo in pericolo la loro salute e la vita delle loro comunità.
La maniera più efficace per ridurre l’impatto del contagio e offrire un’adeguata assistenza sanitaria è l’isolamento sociale. Ma come garantirlo, per esempio, nella favela di Paraisópolis, in São Paulo, dove la densità di popolazione è di 45 mila persone per Km2 (6 volte di più di quella di Milano) e solo 25% ha accesso alla rete fognaria?
Le terre indigene del nord del Brasile sono forse gli spazi più a rischio, considerando la maggior fragilità a infezioni virali di questi popoli. Eppure, proprio in questi ultimi mesi, il governo sta lasciando via libera ai cercatori d’oro clandestini, che si addentrano sempre più lungo i fiumi amazzonici.
La minaccia di un’epidemia richiede fermezza e decisione da parte dei governi nazionali, con regole chiare e posizioni univoche. Il Brasile sembra essere un’eccezione, in cui il Presidente si concede la leggerezza irresponsabile di scherzare sul virus e contraddire per fini politici la posizione dei governatori locali o dei suoi stessi ministri.
Ci sono sempre più angoli nascosti, nel mondo, in cui questa alternativa si rende esplicita.
Nelle regioni che hanno sete di sviluppo è facile installare, con gli sconti e gli occhi chiusi dello Stato, progetti industriali inquinanti, miniere a cielo aperto, monoculture inzuppate di agrotossici. L’economia deve crescere, e per farlo deve appoggiarsi su alcune “zone di sacrificio”.
Alla gente che vive in queste regioni sono imposte alternative sataniche: “Se realmente avete bisogno di lavoro, occorre che accettiate, almeno un po’, gli effetti collaterali dello sviluppo. Se preferite preservare la salute, forse è meglio che non stiate qui”.
Il risultato sono comunità intere di lavoratori e famiglie con la capacità respiratoria pregiudicata dall’inquinamento e le difese immunitarie indebolite dai veleni tossici dell’agrobusiness.
Queste persone testimoniano con la loro vita che la pandemia di COVID19 non è democratica. È vero, può raggiungere tutti. Ma le conseguenze del suo passaggio saranno molto diverse, a seconda delle condizioni di vita di chi colpisce.
Il virus è una cartina di tornasole, che rivela le disuguaglianze strutturali delle nostre “democrazie” e che purtroppo, molto probabilmente, le acuirà.
Vediamo alcuni esempi di come avviene l’impatto del virus nelle società latinoamericane.
L’Organizzazione Mondiale del Lavoro considera l’estrazione mineraria un settore estremamente insalubre. Le regioni in cui si installano questi progetti possiedono, in vari casi, alti livelli di tumori, malattie respiratorie e inquinamento. Eppure, le imprese minerarie stanno continuando ad operare, in tempo di pandemia, a tutto vapore. Gli operai lavorano frequentemente a stretto contatto tra loro, mettendo in pericolo la loro salute e la vita delle loro comunità.
La maniera più efficace per ridurre l’impatto del contagio e offrire un’adeguata assistenza sanitaria è l’isolamento sociale. Ma come garantirlo, per esempio, nella favela di Paraisópolis, in São Paulo, dove la densità di popolazione è di 45 mila persone per Km2 (6 volte di più di quella di Milano) e solo 25% ha accesso alla rete fognaria?
Le terre indigene del nord del Brasile sono forse gli spazi più a rischio, considerando la maggior fragilità a infezioni virali di questi popoli. Eppure, proprio in questi ultimi mesi, il governo sta lasciando via libera ai cercatori d’oro clandestini, che si addentrano sempre più lungo i fiumi amazzonici.
La minaccia di un’epidemia richiede fermezza e decisione da parte dei governi nazionali, con regole chiare e posizioni univoche. Il Brasile sembra essere un’eccezione, in cui il Presidente si concede la leggerezza irresponsabile di scherzare sul virus e contraddire per fini politici la posizione dei governatori locali o dei suoi stessi ministri.
venerdì 10 aprile 2020
Cantiere militare in Brasile
“Amo molto tutti voi e amo la giustizia. Non approviamo la violenza, malgrado riceviamo violenza. Il padre che vi sta parlando ha ricevuto minacce di morte. Caro fratello, se la mia vita ti appartiene, ti apparterrà pure la mia morte".
Pe. Lele Ramin, missionario comboniano italiano ben conosciuto dai nostri lettori, ha dato la sua vita in difesa delle famiglie senza terra e dei popoli indigeni della Rondonia, in Brasile.
Ancora oggi molte comunità di questa regione amazzonica si ispirano al suo esempio e alle sue parole, e ne mantengono viva la memoria.
A padre Ezequiel, come lo chiamano in Brasile, sono state dedicate associazioni, centri comunitari ed anche alcune scuole pubbliche. Segno dell’orgoglio della gente per un missionario che si è fatto tutto a tutti.
Nel febbraio di quest’anno, però, il Governo di Rondonia ha scelto di militarizzare ancora altre scuole di questo stato (ora sono già 13).
Si tratta di un movimento politico che asseconda la paura e l’impotenza della società civile, che per prima, in buona parte, sollecita più forti misure repressive e disciplinari, in tutti gli ambiti della vita urbana.
Il fatto è che questo sentimento di insicurezza e minaccia permanente è spesso frutto di una strategia del potere politico e dei media, che appositamente tende ad amplificare il clima di terrore e di rabbia, per affermare la forza come unica soluzione.
È più difficile per le famiglie educare i figli? Discipliniamoli, imponiamo le regole, mostriamo chi è che comanda.
La soluzione dei soldati nelle scuole ha il suo parallelo a livello del Governo Federale, che ha affidato quasi metà dei ministeri nelle mani di alti ufficiali dell’Esercito, con la motivazione di combattere la corruzione.
Si tratta di un movimento preoccupante, che confonde i ruoli delle istituzioni pubbliche e conferisce troppo potere ad un settore che già di per sé dispone di armi e informazioni strategiche.
I Missionari Comboniani hanno divulgato una critica ufficiale alla decisione di militarizzare una scuola dedicata a p. Ezechiele. I suoi familiari sempre ricordano che Lele è un nonviolento, che credeva profondamente nel metodo educativo di Paulo Freire e non avrebbe mai voluto essere associato alle armi.
I Comboniani hanno ribadito: “Crediamo nell’educazione che risveglia i sogni, e non nell’ordine imposto che intimidisce le persone. Occorre sì investire nelle scuole, ma non mettendole in mano a persone armate: le nostre armi siano i libri, la passione di professori qualificati e rispettati, l’arte, la cultura, la spiritualità, il dialogo, la partecipazione comunitaria, l’inclusione della comunità scolastica nella società che la circonda”.
Il contesto politico nazionale è sempre più preoccupante, così come la percezione della società, una cui fetta consistente sembra optare per la violenza come soluzione dei conflitti.
Spetta alla Chiesa mantenere vivo il sogno e la certezza che esistono altri cammini per la pace.
P. Lele diceva così: "Ho la passione di chi segue un sogno. Questa parola ha un tale accoramento che se la raccolgo nel mio animo, sento che c'è una liberazione che mi sanguina dentro…”
Pe. Lele Ramin, missionario comboniano italiano ben conosciuto dai nostri lettori, ha dato la sua vita in difesa delle famiglie senza terra e dei popoli indigeni della Rondonia, in Brasile.
Ancora oggi molte comunità di questa regione amazzonica si ispirano al suo esempio e alle sue parole, e ne mantengono viva la memoria.
A padre Ezequiel, come lo chiamano in Brasile, sono state dedicate associazioni, centri comunitari ed anche alcune scuole pubbliche. Segno dell’orgoglio della gente per un missionario che si è fatto tutto a tutti.
Nel febbraio di quest’anno, però, il Governo di Rondonia ha scelto di militarizzare ancora altre scuole di questo stato (ora sono già 13).
Si tratta di un movimento politico che asseconda la paura e l’impotenza della società civile, che per prima, in buona parte, sollecita più forti misure repressive e disciplinari, in tutti gli ambiti della vita urbana.
Il fatto è che questo sentimento di insicurezza e minaccia permanente è spesso frutto di una strategia del potere politico e dei media, che appositamente tende ad amplificare il clima di terrore e di rabbia, per affermare la forza come unica soluzione.
È più difficile per le famiglie educare i figli? Discipliniamoli, imponiamo le regole, mostriamo chi è che comanda.
La soluzione dei soldati nelle scuole ha il suo parallelo a livello del Governo Federale, che ha affidato quasi metà dei ministeri nelle mani di alti ufficiali dell’Esercito, con la motivazione di combattere la corruzione.
Si tratta di un movimento preoccupante, che confonde i ruoli delle istituzioni pubbliche e conferisce troppo potere ad un settore che già di per sé dispone di armi e informazioni strategiche.
I Missionari Comboniani hanno divulgato una critica ufficiale alla decisione di militarizzare una scuola dedicata a p. Ezechiele. I suoi familiari sempre ricordano che Lele è un nonviolento, che credeva profondamente nel metodo educativo di Paulo Freire e non avrebbe mai voluto essere associato alle armi.
I Comboniani hanno ribadito: “Crediamo nell’educazione che risveglia i sogni, e non nell’ordine imposto che intimidisce le persone. Occorre sì investire nelle scuole, ma non mettendole in mano a persone armate: le nostre armi siano i libri, la passione di professori qualificati e rispettati, l’arte, la cultura, la spiritualità, il dialogo, la partecipazione comunitaria, l’inclusione della comunità scolastica nella società che la circonda”.
Il contesto politico nazionale è sempre più preoccupante, così come la percezione della società, una cui fetta consistente sembra optare per la violenza come soluzione dei conflitti.
Spetta alla Chiesa mantenere vivo il sogno e la certezza che esistono altri cammini per la pace.
P. Lele diceva così: "Ho la passione di chi segue un sogno. Questa parola ha un tale accoramento che se la raccolgo nel mio animo, sento che c'è una liberazione che mi sanguina dentro…”
sabato 21 marzo 2020
Convertirsi alla speranza
Messaggio dei Missionari Comboniani del Brasile in tempi di coronavirus
“Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. ‘Maestro, non t’importa che stiamo muorendo?’" (Mc 4, 35ss)
A ondate successive, come uno tsunami che attraversa i meridiani terrestri, anche in Brasile la minaccia della pandemia sta diventando concreta.
Man mano che la tocchiamo con mano, con la notizia di persone contaminate nelle nostre città, ci convinciamo della gravità della situazione, la paura cresce.
L'isolamento tra di noi può contribuire allo scoraggiamento; la concentrazione delle famiglie nelle loro case può esacerbare i conflitti domestici.
Quante persone, però, mantengono accesa la speranza! Quanti segni di solidarietà: tra vicini nel quartiere; nella cura dei gruppi più vulnerabili, come i senzatetto; nella dedizione degli operatori sanitari ...
Insieme alla prevenzione e alla cura reciproca, il dovere morale di noi cristiani è alimentare la speranza, nei nostri gesti, atteggiamenti, parole.
Dov'è Dio in tutto questo dramma? Sta attraversando la tempesta insieme a noi, nella barca quasi inghiottita dalle acque!
Ma fu Gesù stesso a sollecitare questa traversata: "Passiamo all’altra riva".
Molte riflessioni collegano questa pandemia alla malattia strutturale del sistema, frenetico, che sta consumando il mondo. Un'economia capitalista che uccide, che risucchia le viscere della Madre Terra, "poche persone con troppo mondo e troppe persone con pochi mondi" (Danowsky e Viveiros de Castro).
Poco prima dello scoppio del virus, il Sinodo dell’Amazzonia ci provocava alla conversione integrale (sociale, culturale, ecologica e nel nostro modo di essere Chiesa). Davvero, il mondo come l’abbiamo organizzato “da questa parte del lago” non può sostenersi, si ammala da solo, quasi in un meccanismo preventivo di autoimmunità, per proteggersi dalla minaccia umana.
È tempo di conversione: riflettere insieme; umilmente riconoscere che abbiamo sbagliato; valorizzare ciò che ancora vale (la sanità pubblica, investimenti pubblici nella scienza e nell'istruzione, un sistema solido di assistenza sociale e reddito minimo per tutti, la cura dei più fragili, una relazione di armonia con il creato ...); preparare un nuovo inizio, dopo la tempesta che coinvolge tutti noi.
"Il vento cessò e ci fu grande bonaccia".
Cosa ci aspetta sull’altra riva? Riprenderemo tutto come se nulla fosse successo? Sapremo proporre e costruire nuove relazioni e legami, quando tornerà il tempo dell’abbraccio e delle mani che si stringono?
Quaresima e quarantena hanno la stessa radice profonda: tempo di piantare, prendersi cura della vita, pensare alle generazioni future che raccoglieranno i nostri frutti.
“Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. ‘Maestro, non t’importa che stiamo muorendo?’" (Mc 4, 35ss)
A ondate successive, come uno tsunami che attraversa i meridiani terrestri, anche in Brasile la minaccia della pandemia sta diventando concreta.
Man mano che la tocchiamo con mano, con la notizia di persone contaminate nelle nostre città, ci convinciamo della gravità della situazione, la paura cresce.
L'isolamento tra di noi può contribuire allo scoraggiamento; la concentrazione delle famiglie nelle loro case può esacerbare i conflitti domestici.
Quante persone, però, mantengono accesa la speranza! Quanti segni di solidarietà: tra vicini nel quartiere; nella cura dei gruppi più vulnerabili, come i senzatetto; nella dedizione degli operatori sanitari ...
Insieme alla prevenzione e alla cura reciproca, il dovere morale di noi cristiani è alimentare la speranza, nei nostri gesti, atteggiamenti, parole.
Dov'è Dio in tutto questo dramma? Sta attraversando la tempesta insieme a noi, nella barca quasi inghiottita dalle acque!
Ma fu Gesù stesso a sollecitare questa traversata: "Passiamo all’altra riva".
Molte riflessioni collegano questa pandemia alla malattia strutturale del sistema, frenetico, che sta consumando il mondo. Un'economia capitalista che uccide, che risucchia le viscere della Madre Terra, "poche persone con troppo mondo e troppe persone con pochi mondi" (Danowsky e Viveiros de Castro).
Poco prima dello scoppio del virus, il Sinodo dell’Amazzonia ci provocava alla conversione integrale (sociale, culturale, ecologica e nel nostro modo di essere Chiesa). Davvero, il mondo come l’abbiamo organizzato “da questa parte del lago” non può sostenersi, si ammala da solo, quasi in un meccanismo preventivo di autoimmunità, per proteggersi dalla minaccia umana.
È tempo di conversione: riflettere insieme; umilmente riconoscere che abbiamo sbagliato; valorizzare ciò che ancora vale (la sanità pubblica, investimenti pubblici nella scienza e nell'istruzione, un sistema solido di assistenza sociale e reddito minimo per tutti, la cura dei più fragili, una relazione di armonia con il creato ...); preparare un nuovo inizio, dopo la tempesta che coinvolge tutti noi.
"Il vento cessò e ci fu grande bonaccia".
Cosa ci aspetta sull’altra riva? Riprenderemo tutto come se nulla fosse successo? Sapremo proporre e costruire nuove relazioni e legami, quando tornerà il tempo dell’abbraccio e delle mani che si stringono?
Quaresima e quarantena hanno la stessa radice profonda: tempo di piantare, prendersi cura della vita, pensare alle generazioni future che raccoglieranno i nostri frutti.
Due bacinelle d'acqua
Due bacinelle d’acqua, separate da poche pagine di Vangelo. Una è quella con cui Pilato si lava le mani: l’acqua dell’indifferenza e dell’omissione. L’altra è quella con cui Gesù lava i piedi ai discepoli: prendere a cuore, avere cura.
Come tutti gli anni, la Chiesa in Brasile vive la Quaresima con una chiave di lettura, che diventa impegno collettivo. Si chiama Campagna della Fraternità, e adotta ogni volta un titolo diverso. Quest’anno “Fraternità e Vita: un dono, un impegno”.
La Conferenza dei Vescovi in Brasile ha appena eletto la sua nuova presidenza; con la pubblicazione del testo quaresimale di quest’anno, intriso di citazioni di Papa Francesco, ribadisce con chiarezza e fedeltà la spiritualità e le priorità che Bergoglio sta proponendo alla Chiesa.
Su di tutte, echeggia l’imbarazzante domanda dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium: cosa sta succedendo all’umanità, malata di indifferenza?
Ancora oggi in Brasile il 23% dei bambini e adolescenti vivono in condizioni di estrema povertà.
Nel 2017, il nostro era il 9º paese più disuguale nella distribuzione di ricchezza. Già nell’anno seguente, la metà più povera è regredita di un altro 3,5%, mentre il 10% più ricco ha accumulato ancora il 6% in più!
L’estensione delle terre in conflitto cresce esponenzialmente: nel 2014 si trattava di circa 8 milioni di ettari, 21 milioni nel 2015 e ben 39 milioni nel 2018.
Questi dati, commenta il rapporto annuale di Human Rights Watch sui diritti umani, non sono frutto del destino, ma conseguenza diretta di scelte politiche: permissivismo in campo ambientale, attacco alla libertà di espressione e comunicazione, isolamento e disprezzo delle minoranze, incentivo alla violenza come soluzione semplificata dei conflitti, impunità e favoritismo per la polizia ed i militari, ecc.
Si respira un atteggiamento di fondo marcato dall’individualismo, dalla competizione e banalizzazione della vita. Considerato vincente a livello personale, esso si cristallizza e struttura in posizioni politiche escludenti e scelte economiche discriminatorie.
Eppure, rifletteremo in questa Quaresima, la nostra Chiesa continua a credere e riproporre a tutti i livelli lo sguardo della compassione.
“Deboli con i deboli, portiamo cibo di notte a chi vive sulla strada; entriamo nelle carceri, separando il peccato dal peccatore. Curiamo le ferite che il peccato e l’avidità disprezzano; rivendichiamo terra e diritti, difendendo i piccoli; stiamo a fianco dei bambini, giovani, adulti e anziani, nelle loro gioie e dolori; consolati da Cristo, scopriamo, nel più profondo di noi stessi, la vocazione umana e divina di consolare chi si trova in qualche tribolazione. É possibile che il mondo di indifferenza e odio ci consideri pazzi; in qualche modo, lo siamo: pazzi di amore, pazzi per la fede, e, per questo, pazzi per la vita” (Documento della Campagna, n. 89).
In questa quaresima contempleremo il racconto evangelico del samaritano, che passando accanto a un uomo ferito “lo vide, ebbe compassione e si prese cura di lui” (Lc 10, 33).
Sono tre verbi che ci aiutano a cambiare sguardo, rifondare la solidarietà e ricostruire un tessuto sociale attento agli ultimi.
Si chiama “Chiesa samaritana”, cresce sulla strada, è capace di curare il virus contaminante dell’indifferenza. Dipende da noi!
Come tutti gli anni, la Chiesa in Brasile vive la Quaresima con una chiave di lettura, che diventa impegno collettivo. Si chiama Campagna della Fraternità, e adotta ogni volta un titolo diverso. Quest’anno “Fraternità e Vita: un dono, un impegno”.
La Conferenza dei Vescovi in Brasile ha appena eletto la sua nuova presidenza; con la pubblicazione del testo quaresimale di quest’anno, intriso di citazioni di Papa Francesco, ribadisce con chiarezza e fedeltà la spiritualità e le priorità che Bergoglio sta proponendo alla Chiesa.
Su di tutte, echeggia l’imbarazzante domanda dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium: cosa sta succedendo all’umanità, malata di indifferenza?
Ancora oggi in Brasile il 23% dei bambini e adolescenti vivono in condizioni di estrema povertà.
Nel 2017, il nostro era il 9º paese più disuguale nella distribuzione di ricchezza. Già nell’anno seguente, la metà più povera è regredita di un altro 3,5%, mentre il 10% più ricco ha accumulato ancora il 6% in più!
L’estensione delle terre in conflitto cresce esponenzialmente: nel 2014 si trattava di circa 8 milioni di ettari, 21 milioni nel 2015 e ben 39 milioni nel 2018.
Questi dati, commenta il rapporto annuale di Human Rights Watch sui diritti umani, non sono frutto del destino, ma conseguenza diretta di scelte politiche: permissivismo in campo ambientale, attacco alla libertà di espressione e comunicazione, isolamento e disprezzo delle minoranze, incentivo alla violenza come soluzione semplificata dei conflitti, impunità e favoritismo per la polizia ed i militari, ecc.
Si respira un atteggiamento di fondo marcato dall’individualismo, dalla competizione e banalizzazione della vita. Considerato vincente a livello personale, esso si cristallizza e struttura in posizioni politiche escludenti e scelte economiche discriminatorie.
Eppure, rifletteremo in questa Quaresima, la nostra Chiesa continua a credere e riproporre a tutti i livelli lo sguardo della compassione.
“Deboli con i deboli, portiamo cibo di notte a chi vive sulla strada; entriamo nelle carceri, separando il peccato dal peccatore. Curiamo le ferite che il peccato e l’avidità disprezzano; rivendichiamo terra e diritti, difendendo i piccoli; stiamo a fianco dei bambini, giovani, adulti e anziani, nelle loro gioie e dolori; consolati da Cristo, scopriamo, nel più profondo di noi stessi, la vocazione umana e divina di consolare chi si trova in qualche tribolazione. É possibile che il mondo di indifferenza e odio ci consideri pazzi; in qualche modo, lo siamo: pazzi di amore, pazzi per la fede, e, per questo, pazzi per la vita” (Documento della Campagna, n. 89).
In questa quaresima contempleremo il racconto evangelico del samaritano, che passando accanto a un uomo ferito “lo vide, ebbe compassione e si prese cura di lui” (Lc 10, 33).
Sono tre verbi che ci aiutano a cambiare sguardo, rifondare la solidarietà e ricostruire un tessuto sociale attento agli ultimi.
Si chiama “Chiesa samaritana”, cresce sulla strada, è capace di curare il virus contaminante dell’indifferenza. Dipende da noi!
mercoledì 12 febbraio 2020
A cuore aperto e pieni polmoni
Riceviamo a cuore
aperto e pieni polmoni l’esortazione apostolica Querida Amazônia.
Sinodo significa
“camminare insieme”: si tratta di un cammino che viene da lontano, iniziato da
almeno due anni, in ascolto di migliaia di persone e comunità, convergendo nel Documento Finale. Il Papa chiede che ci
impegniamo a leggerlo ed applicarlo integralmente.
Un cammino che
ancora deve andare lontano, perché le piste che si aprono sono audaci e di
profondo cambiamento, conversione integrale.
Percorriamo
questa strada con le gambe e la passione dei martiri: non a caso il documento è
stato consegnato oggi, 12 febbraio, a quindici anni dall’uccisione della
difensora della foresta sr. Dorothy Stang.
Papa Francesco
dice che non vuole fare sostituzioni al documento conclusivo: offre una
riflessione, una sintesi, quasi per far battere più forte il cuore. Riscatta la
poesia e il sogno, beve alla fonte delle culture amazzoniche. La bellezza e la
poesia salveranno il mondo!
Chiari segnavia per il cammino
Con insistenza
indignata, un punto fermo che orienta il cammino è la denuncia del modello
predatorio e neocoloniale che sta saccheggiando l’Amazzonia. Il Papa sa che
questo modello è abile nel camuffarsi, al punto da ingannare o sedurre, a
volte, anche alcuni membri della Chiesa. Ci vuole lucidità e determinazione per
rinnegarlo e recuperare e proteggere l’ispirazione e il protagonismo dei popoli
originari, i loro progetti di vita, la sapienza del Bem Viver, la voce potente degli ultimi, i diritti e le proposte
dei piccoli…
Il cammino del Sinodo
si intreccia con quello dell’Economia di Francesco e Chiara (incontro in Assisi
in marzo), con il Patto Educativo Globale convocato dal Papa in maggio, con i
tanti gruppi che in diverse parti del mondo, a partire da ottobre scorso,
stanno firmando e contestualizzando il Patto delle Catacombe per la Casa
Comune.
In Brasile, tra
esattamente un mese, la REPAM e una rete di molte altre organizzazioni
lanceranno la campagna “La vita appesa a un filo”, per l’autodifesa delle
comunità e dei leaders minacciati nel difendere i loro territori.
La rete
latinoamericana Iglesias y Minería
sta promovendo la campagna di disinvestimento dall’estrazione mineraria, come
passo concreto delle comunità di fede per prendere le distanze dall’economia
predatoria.
Mancano ancora alcuni compagni di strada
Il Sinodo ha
aperto un processo lungo, verso un maggior protagonismo delle donne nella
Chiesa, ma dobbiamo ancora avanzare molto. L’esortazione apostolica offre
alcune proposte, da cui con coraggio occorre riprendere il passo. Per esempio,
i vescovi possono costituire ministeri che danno autorità, riconoscimento
pubblico e incidenza reale della donna nella guida delle comunità e nella
Chiesa diocesana.
L’iniziativa di
ordinare sacerdoti persone riconosciute dalle comunità cristiane, nelle regioni
isolate dell’Amazzonia, anche con una famiglia costituita e stabile permane
come decisione dell’assemblea sinodale, inclusa nel documento finale. Il Papa
non la riprende, mette a fuoco altri punti di vita, ma allo stesso tempo indica
che la presenza pastorale precaria esige dalla Chiesa una risposta coraggiosa e
l’identificazione di “ministri che possano comprendere dall’interno la sensibilità e le culture amazzoniche”. È importante
questo avverbio di luogo, che ho volutamente evidenziato.
Tutta
l’esortazione si fonda sul presupposto di una Chiesa incarnata e inculturata,
che non può dipendere da ministri che conducano, gestiscano e celebrino
dall’esterno.
La parola e
l’iniziativa, dunque, passa alle chiese locali, perché pensino, organizzino e
propongano al Papa percorsi fattibili, contestuali, rispettosi e coraggiosi.
“Non tagliamo
le ali allo Spirito”!
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