domenica 24 dicembre 2017

Maranathá! Venga a noi il tuo Regno!

Vieni, Signore Gesú! Venga a noi il tuo Regno!

É notte, fa buio, ma siamo qui, a celebrare.
É disoccupazione, inquinamento, oltraggio dei poveri. É violenza, abandono, disboscamento. Sono malattie e morti. Ma siamo qui, a celebrare.

I potenti stanno in altre feste, preoccupati con un altro ordine. Lo vogliono imporre a noi. Sembrano sordi, cinici. Dichiarano guerra ai poveri.
Ma noi non ci scoraggiamo: é denuncia, é protesta e manifestazione. Oggi, celebrando, é anche preghiera insistente perché qualcosa di nuovo nasca nel cuore di questo Paese.

Vieni, Signore Gesú! Venga a noi il tuo Regno!

Nelle nostre case ci sono molte mangiatoie. In ciascuna nasce um Bambino Gesú.
C’é solidarietá, comunione, eucaristia. C’é uma fede impressionante, che la notte non spegne.
In mezzo ai piccoli ci alimentiamo, ritroviamo la forza che stavamo cercando.

Vieni, Signore Gesú! Venga a noi il tuo Regno!

I pastori vigilano tutta la notte, a turni. La luce sta arrivando, ocorre scoprire dov’é...
Non possiamo perderci d’animo o addormentarci. Se qualcuno si rassegna, sveglialo!
Amico, tieni gli occhi aperti, sempre pronto a camminare!
Il Signore Gesú sta passando, tira in piedi i poveri, li chiama a cammino, apre brecce di liberazione!

Vieni, Signore Gesú! Venga a noi il tuo Regno!

domenica 10 dicembre 2017

Mariana, due anni dopo

Sono passati due anni. Erano le tre del pomeriggio, la gente stava in casa, a scuola, lavorando nei campi di Bento Rodriguez, Paracatu de Baixo ed altri piccoli villaggi a valle della miniera di ferro.


 Foto: Thomas Bauer
All’improvviso, senza nessun allarme perché la gente fuggisse, un’onda violenta di fango di vari metri d’altezza si è scaricata sulla vita di questa gente, distruggendo tutto. Poi, il silenzio; un silenzio che  si è propagato in questi lunghi 24 mesi.

Si tratta di uno dei più gravi disastri minerari dell’America Latina, è avvenuto a Mariana*, in Minas Gerais, a causa dell’irresponsabilità delle multinazionali del ferro Vale S.A. e BHP Billiton e della complicità dello Stato brasiliano.
Eppure, due anni dopo, nessuno è stato arrestato e condannato per questo crimine ambientale; non si è ancora giunti ad un accordo sulla riparazione dei danni e molte famiglie non hanno ancora una abitazione definitiva.

Paracatu de Baixo è un villaggio fantasma. Tutto è rimasto come nel giorno del mare di fango. I libri nella biblioteca della scuola, tra gli scaffali ed il pavimento; una bambola caduta nel cortile di casa; un frigorifero rovesciato a terra… ed il segno nitido del fango sui muri, tracciando una linea precisa, circa a 4 metri d’altezza sulle pareti delle case, come una ghigliottina che taglia in due il villaggio.
Lo abbiamo visitato insieme ad altre comunità che in tutto il Brasile soffrono gli impatti delle attività minerarie. Con noi c’era Djkuna, indigena Krenak: “Stanno ferendo il cuore della Terra. Hanno ucciso la nostra essenza. Ma sento odore della paura, tra voi, ancora oggi. Non possiamo aver paura, perché è questo che blocca la nostra essenza!”
C’erano anche Davi Kopenawa e Miguel Yanomami, indigeni del nord del Brasile, in piena foresta amazzonica. È giunta fin là la frontiera dello sfruttamento estrattivista**, che minaccia i loro territori. Davi e Miguel circolavano silenziosi tra le case diroccate: uno scenario apocalittico.

Il giorno dopo, abbiamo celebrato con loro un rituale xamanico. Ci aspettavamo visioni di morte e una dura denuncia della violenza che la nostra società sta provocando contro la Madre Terra ed i suoi figli. Ma Miguel nella sua visione, provocata dall’incontro con lo Spirito, ha evocato ancora una volta il mito indigena della Creazione. Ci ha messi in dialogo con “la pancia gravida della Terra” e ha rivelato: “Tutto questo non terminerà. Continueremo ad insegnarlo ai nostri figli, senza fine. Se saremo protetti”.
Le sue ultime parole, che sono state dette da lui ma anche dallo Spirito che stava ricevendo, dialogano in modo fortissimo con la nostra spiritualità: “Abbiate cura di voi. Io sono vivo. Anch’io avrò cura”.
È l’incontro con lo Spirito che ci tiene vivi e ci aiuta a proteggere la vita, in questi contesti di morte! Non si tratta però di una spiritualità che isola o anestetizza: ascoltare il grido della terra e dei popoli che la abitano deve risvegliarci all’azione.
Djkuna ci sfida: “Così come alcuni popoli indigeni, mi sembra che anche voi della Chiesa stiate perdendo la vostra lingua, la vostra essenza. Come potrete recuperarla? Non potrebbe essere lottando insieme a noi? Sì, possiamo parlare la stessa lingua, se ci impegniamo insieme!”

* Sono morte 19 persone, una donna ha avuto un aborto spontaneo. 350 famiglie senza casa, 600 Km di fiume contaminato dal fango, carico di sostanze minerali come arsenico, manganese, piombo, ferro, alluminio. Più di tremila pescatori hanno perso il loro lavoro; tre milioni e mezzo di persone sono rimaste per vari giorni senza accesso all’acqua potabile.

** Per comprendere la gravità di questo modello economico mondiale, si veda l’interessante sito web recommon.org/webdoc-estrattivismo

In ascolto dei popoli indigeni

Il fiume Tapajós corre lento, enorme nella sua estensione. La distanza tra le due rive in alcuni punti è come quella che separa l'Africa dall'Europa, a Gibilterra.
Più a valle si incontrerà con l’Amazonas, raddoppiando la portata d'acqua ed il silenzio stupefatto con cui contempliamo questa immensità.

Stiamo risalendolo, per incontrare i popoli indigeni che vivono in tutto il suo bacino idrografico. Per la terza volta la REPAM, (Rete Ecclesiale Panamazzonica), si pone in ascolto degli Indios.
Gli indigeni sono spaventati e molto preoccupati per la devastazione che avviene nei loro territori: il disboscamento, la monocultura della soia da esportare per gli allevamenti in Europa, la minaccia di nuove idroelettriche lungo il fiume, che possono allagare le loro terre.
É impressionante, però, la lucidità con cui discutono e si organizzano, con uno speciale protagonismo dei giovani. Alcuni di loro si sono da poco laureati in antropologia, o sociologia. Sanno di cosa parlano, hanno studiato a fondo il mondo dei “bianchi”, capiscono che bisogna affrontarlo “da dentro”.

Come Chiesa vogliamo essere vicini a loro. Cominciamo sempre col chiedere perdono, per la storia di sterminio e oppressione che abbiamo contribuito a costruire. Non si cancellano le ferite, ma si pongono almeno le condizioni per ricominciare, insieme.
Si tratta di alleanze importantissime per il mondo indigeno, che ha bisogno di appoggio politico e dell'opinione pubblica, che spesso li considera residui inutili di una storia del passato.
Il Consiglio Indigenista Missionario (CIMI)* sta difendendo la loro causa in molti conflitti e processi giuridici. É una delle pastorali della chiesa più criticate dalla lobby dei fazendeiros, sempre più potente ed influente dal punto di vista politico.
La REPAM, a sua volta, promuove alleanze nuove. Per esempio, già in vari casi leaders indigeni hanno denunciato le violazioni sistematiche che subiscono alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, con l'appoggio della Chiesa.

Papa Francesco segue con molta attenzione questo nuovo ruolo della Chiesa a fianco dei popoli indigeni e in difesa della Panamazzonia. Già lo scriveva nella Laudato Si’.
In settembre ha voluto visitare l'Amazzonia colombiana** e in gennaio farà lo stesso in Perù, da dove tutti attendiamo che confermi la proposta di un Sinodo Panamazzonico. Un processo ecclesiale di ascolto dei popoli indigeni, un segno della Chiesa che vuole ricominciare con loro. Forse anche lasciarsi un po' evangelizzare da loro, dalla rivelazione di Dio che si manifesta nel loro amore per la Madre Terra.

Il Sinodo potrà essere occasione di ripensare i ministeri ecclesiali in chiave amazzonica, offrendo nuove opportunità ai laici in contesti in cui le comunità vivono estremamente isolate. Torneremo ad approfondire questo tema.
Intanto, contempliamo l’imponenza delle acque che scorrono da millenni in queste regioni. Il fiume grida silenziosamente e carica con sé l’angoscia, la speranza e la resistenza della gente che vive lungo le sue rive.

* Ogni anno il CIMI pubblica un Rapporto sulla Violenza contro i Popoli Indigeni. L’ultimo, denuncia che in 2016 la violenza contro questi popoli è aumentata. Crescono gli omicidi, ma anche i suicidi e la mortalità infantile. L’analisi imputa questo aumento alla politica del nuovo Governo e alla restrizione dei diritti costituzionali già garantiti.

** In Colombia, Francesco ha detto: “L’Amazzonia è per tutti noi una prova decisiva per verificare se la nostra società, quasi sempre ridotta al materialismo e pragmatismo, è in grado di custodire ciò che ha ricevuto gratuitamente, non per saccheggiarlo, ma per renderlo fecondo.

Nossa Senhora Aparecida, nella fede dei poveri

Si chiamavano Felipe, Pedroso e Garcia. Pescatori, vivevano in una baracca miserabile; la pesca era scarsa, una notte terminò pure l’olio della lampada.
Con la fede dei poveri, uscirono di nuovo a gettare le reti. Pescarono il corpo di un’immagine spezzata, una Madonna nera, scurita dalle acque fangose del fondo del fiume. Buttando di nuovo la rete, raccolsero anche la testa.
Il racconto dice che da quel giorno riempirono sempre le loro canoe di pesci. La gente del posto portò via la santa da quella casa, perché era troppo semplice, ma ogni volta che ci provavano… la mattina dopo la statua riappariva nella baracca.
Era l’anno 1717, all’interno dello stato di São Paulo, nel cuore del periodo coloniale e di un’economia basata sulla schiavitù, benedetta dalla religione dei signori.

Ci fa bene, ogni tanto, sentir parlare di Dio dai piccoli, dagli esclusi. Non raccontano secondo la nostra logica razionale, non rispettano i canoni della rivelazione.
L’ideologia dominante, allora come oggi, tende a ‘sbiancare’* la società brasiliana, nasconde le sue radici afro-discendenti, cristallizza il razzismo in strutture che replicano l’esclusione dei neri. Ma la “santa” che appare nelle mani dei pescatori è nera e vuole restare in casa con i poveri feriti dallo sfruttamento coloniale.
Un’apparizione che, a differenza di tante altre, non dice nessuna parola. Si esprime con il suo volto, così come a Guadalupe la Madre di Dio ha assunto un volto indigeno. Parla dalla posizione che ha scelto, viene dal profondo delle acque scure, preferisce la baracca dei pescatori.
Resta nelle case della gente e nelle piccole cappelle della devozione popolare per più di centocinquant’anni, poi viene definitivamente trasferita in un Santuario. Diventerà, in seguito, patrona del Brasile, simbolo dell’unità nazionale.
Le case e le piccole comunità in cui quest’immagine di Maria ha abitato sono il luogo della madre e della donna, segno del Dio dei piccoli che si lascia incontrare negli spazi domestici, accoglienti ed inclusivi, itinerante e sempre in visita tra i poveri.
Il tempio verso cui, finalmente, è stata convogliata la fede della gente, può essere simbolo e tentazione pericolosa di centralizzazione**, controllo ed anche esclusione, secondo le regole e la visione tipicamente maschile.

In questo mese di ottobre celebriamo i 300 anni di “Nossa Senhora Aparecida”. Ancora oggi Maria ci offre una profezia, a partire dalla sua posizione, dal suo corpo nero, volto femminile di Dio, compagna di cammino nella fede dei più piccoli e di coloro che, per vergogna o per definizione, non possono entrare in Chiesa.
Per preparare la grande celebrazione del 12 ottobre, varie repliche dell’immagine sacra hanno circolato durante un anno intero in tutto il Paese. Passano da una parrocchia all’altra, visitano le piccole comunità, a volte durante la settimana si fermano ogni notte nella casa di una famiglia diversa. Provocano incontri, valorizzano le periferie, toccano con mano la vita quotidiana.
Ripetono, in qualche modo, il Vangelo della visitazione e ci stimolano a ripensare volti e strategie di una chiesa “di strada”.

* La teoria del “branqueamento” ha preso piede in Brasile all’inizio del secolo XX, considerando l’uomo bianco europeo come miglior riferimento in termini di salute, bellezza e civiltà. Attraverso le generazioni, i discendenti degli africani sarebbero divenuti a poco a poco sempre più bianchi e puri. La società di oggi, pur se in modo velato, replica questo pregiudizio. L’iconografia religiosa in molti casi lo rafforza.

**Proprio nel Santuario di Aparecida si è realizzata nel 2007 la 5a Conferenza dei Vescovi Latinoamericani e dei Caraibi. Uno dei punti più significativi del documento finale è la visione di parrocchia come comunità di comunità, decentralizzata, con forte insistenza sulla formazione ed il protagonismo dei laici nei loro ministeri.