domenica 10 dicembre 2017

Mariana, due anni dopo

Sono passati due anni. Erano le tre del pomeriggio, la gente stava in casa, a scuola, lavorando nei campi di Bento Rodriguez, Paracatu de Baixo ed altri piccoli villaggi a valle della miniera di ferro.


 Foto: Thomas Bauer
All’improvviso, senza nessun allarme perché la gente fuggisse, un’onda violenta di fango di vari metri d’altezza si è scaricata sulla vita di questa gente, distruggendo tutto. Poi, il silenzio; un silenzio che  si è propagato in questi lunghi 24 mesi.

Si tratta di uno dei più gravi disastri minerari dell’America Latina, è avvenuto a Mariana*, in Minas Gerais, a causa dell’irresponsabilità delle multinazionali del ferro Vale S.A. e BHP Billiton e della complicità dello Stato brasiliano.
Eppure, due anni dopo, nessuno è stato arrestato e condannato per questo crimine ambientale; non si è ancora giunti ad un accordo sulla riparazione dei danni e molte famiglie non hanno ancora una abitazione definitiva.

Paracatu de Baixo è un villaggio fantasma. Tutto è rimasto come nel giorno del mare di fango. I libri nella biblioteca della scuola, tra gli scaffali ed il pavimento; una bambola caduta nel cortile di casa; un frigorifero rovesciato a terra… ed il segno nitido del fango sui muri, tracciando una linea precisa, circa a 4 metri d’altezza sulle pareti delle case, come una ghigliottina che taglia in due il villaggio.
Lo abbiamo visitato insieme ad altre comunità che in tutto il Brasile soffrono gli impatti delle attività minerarie. Con noi c’era Djkuna, indigena Krenak: “Stanno ferendo il cuore della Terra. Hanno ucciso la nostra essenza. Ma sento odore della paura, tra voi, ancora oggi. Non possiamo aver paura, perché è questo che blocca la nostra essenza!”
C’erano anche Davi Kopenawa e Miguel Yanomami, indigeni del nord del Brasile, in piena foresta amazzonica. È giunta fin là la frontiera dello sfruttamento estrattivista**, che minaccia i loro territori. Davi e Miguel circolavano silenziosi tra le case diroccate: uno scenario apocalittico.

Il giorno dopo, abbiamo celebrato con loro un rituale xamanico. Ci aspettavamo visioni di morte e una dura denuncia della violenza che la nostra società sta provocando contro la Madre Terra ed i suoi figli. Ma Miguel nella sua visione, provocata dall’incontro con lo Spirito, ha evocato ancora una volta il mito indigena della Creazione. Ci ha messi in dialogo con “la pancia gravida della Terra” e ha rivelato: “Tutto questo non terminerà. Continueremo ad insegnarlo ai nostri figli, senza fine. Se saremo protetti”.
Le sue ultime parole, che sono state dette da lui ma anche dallo Spirito che stava ricevendo, dialogano in modo fortissimo con la nostra spiritualità: “Abbiate cura di voi. Io sono vivo. Anch’io avrò cura”.
È l’incontro con lo Spirito che ci tiene vivi e ci aiuta a proteggere la vita, in questi contesti di morte! Non si tratta però di una spiritualità che isola o anestetizza: ascoltare il grido della terra e dei popoli che la abitano deve risvegliarci all’azione.
Djkuna ci sfida: “Così come alcuni popoli indigeni, mi sembra che anche voi della Chiesa stiate perdendo la vostra lingua, la vostra essenza. Come potrete recuperarla? Non potrebbe essere lottando insieme a noi? Sì, possiamo parlare la stessa lingua, se ci impegniamo insieme!”

* Sono morte 19 persone, una donna ha avuto un aborto spontaneo. 350 famiglie senza casa, 600 Km di fiume contaminato dal fango, carico di sostanze minerali come arsenico, manganese, piombo, ferro, alluminio. Più di tremila pescatori hanno perso il loro lavoro; tre milioni e mezzo di persone sono rimaste per vari giorni senza accesso all’acqua potabile.

** Per comprendere la gravità di questo modello economico mondiale, si veda l’interessante sito web recommon.org/webdoc-estrattivismo

1 commento:

Paolo ha detto...

si rimane senza parole - quanto stride con il gusto della lamentazione che in Italia impera per qualsiasi cavolata...