domenica 10 dicembre 2017

In ascolto dei popoli indigeni

Il fiume Tapajós corre lento, enorme nella sua estensione. La distanza tra le due rive in alcuni punti è come quella che separa l'Africa dall'Europa, a Gibilterra.
Più a valle si incontrerà con l’Amazonas, raddoppiando la portata d'acqua ed il silenzio stupefatto con cui contempliamo questa immensità.

Stiamo risalendolo, per incontrare i popoli indigeni che vivono in tutto il suo bacino idrografico. Per la terza volta la REPAM, (Rete Ecclesiale Panamazzonica), si pone in ascolto degli Indios.
Gli indigeni sono spaventati e molto preoccupati per la devastazione che avviene nei loro territori: il disboscamento, la monocultura della soia da esportare per gli allevamenti in Europa, la minaccia di nuove idroelettriche lungo il fiume, che possono allagare le loro terre.
É impressionante, però, la lucidità con cui discutono e si organizzano, con uno speciale protagonismo dei giovani. Alcuni di loro si sono da poco laureati in antropologia, o sociologia. Sanno di cosa parlano, hanno studiato a fondo il mondo dei “bianchi”, capiscono che bisogna affrontarlo “da dentro”.

Come Chiesa vogliamo essere vicini a loro. Cominciamo sempre col chiedere perdono, per la storia di sterminio e oppressione che abbiamo contribuito a costruire. Non si cancellano le ferite, ma si pongono almeno le condizioni per ricominciare, insieme.
Si tratta di alleanze importantissime per il mondo indigeno, che ha bisogno di appoggio politico e dell'opinione pubblica, che spesso li considera residui inutili di una storia del passato.
Il Consiglio Indigenista Missionario (CIMI)* sta difendendo la loro causa in molti conflitti e processi giuridici. É una delle pastorali della chiesa più criticate dalla lobby dei fazendeiros, sempre più potente ed influente dal punto di vista politico.
La REPAM, a sua volta, promuove alleanze nuove. Per esempio, già in vari casi leaders indigeni hanno denunciato le violazioni sistematiche che subiscono alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, con l'appoggio della Chiesa.

Papa Francesco segue con molta attenzione questo nuovo ruolo della Chiesa a fianco dei popoli indigeni e in difesa della Panamazzonia. Già lo scriveva nella Laudato Si’.
In settembre ha voluto visitare l'Amazzonia colombiana** e in gennaio farà lo stesso in Perù, da dove tutti attendiamo che confermi la proposta di un Sinodo Panamazzonico. Un processo ecclesiale di ascolto dei popoli indigeni, un segno della Chiesa che vuole ricominciare con loro. Forse anche lasciarsi un po' evangelizzare da loro, dalla rivelazione di Dio che si manifesta nel loro amore per la Madre Terra.

Il Sinodo potrà essere occasione di ripensare i ministeri ecclesiali in chiave amazzonica, offrendo nuove opportunità ai laici in contesti in cui le comunità vivono estremamente isolate. Torneremo ad approfondire questo tema.
Intanto, contempliamo l’imponenza delle acque che scorrono da millenni in queste regioni. Il fiume grida silenziosamente e carica con sé l’angoscia, la speranza e la resistenza della gente che vive lungo le sue rive.

* Ogni anno il CIMI pubblica un Rapporto sulla Violenza contro i Popoli Indigeni. L’ultimo, denuncia che in 2016 la violenza contro questi popoli è aumentata. Crescono gli omicidi, ma anche i suicidi e la mortalità infantile. L’analisi imputa questo aumento alla politica del nuovo Governo e alla restrizione dei diritti costituzionali già garantiti.

** In Colombia, Francesco ha detto: “L’Amazzonia è per tutti noi una prova decisiva per verificare se la nostra società, quasi sempre ridotta al materialismo e pragmatismo, è in grado di custodire ciò che ha ricevuto gratuitamente, non per saccheggiarlo, ma per renderlo fecondo.

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