domenica 3 luglio 2011

Quebradeiras de Côco

Um giorno intero all’ombra delle frasche di palma di babaçu, conversando con donne che si svegliano alle cinque e lavorano lá sotto fino a quando torna il buio.

Pochi giorni dopo, su un aereo all’incontro di decine di gruppi e movimenti che hanno parole chiare da dire sul futuro della nostra terra.

Che vita strana e ricca, quella che ci é donata! Missione é prima di tutto ascoltare, comprendere dal basso, sedersi e accettare di stare al ritmo della gente. Ogni tanto ci provo... e poi mi ritrovo a difendere le attese e denuncie della ‘nostra’ gente a livelli piú distanti, dove altri finiscono per decidere il futuro dei piccoli.

Le chiamano ‘Quebradeiras de Côco’, sono donne che raccolgono le piccole noci di babaçu dalle piantagioni spontanee e poi si siedono, pazienti, con un’ascia e un martello per spaccare il cocco e separare la nocciola (per un raffinato olio da cucina) ed il mesocarpo (ricchissimo di principi nutritivi). Non hanno terra, costrette a cercare spazi di sopravvivenza sempre piú limitati dalle monoculture di eucalipto. Le imprese bruciano tonnellate di legname geneticamente modificato per farne carbone; queste donne sminuzzano i frutti della madre terra fino a raccoglierne il midollo carico di vita. Nulla va perduto.

Il loro lavoro é rompere migliaia di noci ogni giorno. Spaccare in mille pezzetti il guscio perché emerga la vita in esso racchiusa.

Lo stesso accade nella costruzione del mondo nuovo che stiamo intuendo e tracciando a piccoli passi: c’é qualcosa di vivo sotto il guscio duro di questo mondo di morte e ingiustizia. Il mondo di oggi é gravido, ma qualcosa si deve rompere, in fretta, perché ricominci la vita e non ci facciamo inghiottire dal risucchio e dal degrado.

Apocalisse lo chiama ‘svelamento’: si rompono le acque di una nuova nascita. Questa rottura non viene da grandi rivoluzioni, ma, credo, dai semplici gesti ripetuti e ostinati dei piccoli, che non smettono di difendere le loro tradizioni, le radici fissate nella terra, la fede negli spazi e nei gesti che hanno imparato dai padri e vogliono insegnare ai figli.

Se sapremo difendere l’iniziativa delle piccole comunitá, l’agricoltura familiare, i diritti dei gruppi indigeni e quilombolas, il lavoro e l’arte delle quebradeiras de côco, staremo rompendo con gesti essenziali ed efficaci il guscio dei vecchi meccanismi di schiavitú e saccheggio, che oggi sono chiamati sviluppo e progresso. Non significa negare il futuro, ma restituirlo nelle mani e al tempo dei piccoli.

Dio danza al ritmo del martello dei poveri, che rompe il guscio delle noci e dell’esclusione. Ci sediamo e balliamo con loro, o preferiamo suonare la musica di altre orchestre?