mercoledì 12 febbraio 2020

Giacimento di problemi


Alla fine di un’accurata serie di esami clinici, gli fu diagnosticato un diabete molto forte. Ricevere il referto dai medici, in ospedale, lo lasciò in stato di shock. Nel cammino verso casa, un’altra notizia inattesa: aveva appena ereditato la gestione della pasticceria più rinomata della città.
Può essere una delle metafore per il Brasile, oggi.

L’”eredità” è stata scoperta nel 2006; si è trattato del fatto più importante nella storia dell’industria del petrolio. Un immenso giacimento sottomarino di petrolio, per 800 Km lungo la costa brasiliana, a circa 8000 mt di profondità, al di sotto di uno strato geologico di sale (da qui il nome “pré-sal”).
La quantità reale di oro nero è ancora sconosciuta, ma si calcola che potrà offrire profitti tra i 5 ed i 30 mila miliardi di dollari (tra 125 e 375 miliardi ogni anno). È una prospettiva che sposterebbe il Brasile al livello dell’Arabia Saudita, tra i maggiori produttori del pianeta.

Senza nemmeno conoscerne l’effettiva dimensione, il Governo sta già mettendo all’asta il giacimento, al buio, cedendo i diritti di sfruttamento dei prossimi trent’anni e privatizzando così almeno il 95% di questo patrimonio.
Il primo tentativo, per fortuna, è andato a vuoto: un’adesione molto ridotta, probabilmente per il rischio dell’investimento in una prospettiva di forte diminuzione del prezzo del barile di petrolio. Ci può essere, dietro, anche la lobby dei paesi dell’OPEC, che non vedono di buon occhio un’iniezione massiccia di offerta sul mercato, il che farebbe cadere ancora di più il valore nominale.

Il pré-sal, agli occhi dei vari governi del Brasile, è un’opportunità unica di ricchezza, che potrebbe anche essere investita in sviluppo sociale e qualità di vita della gente. Eppure, sfruttare questo giacimento significherebbe retrocedere su questioni ed impegni dibattuti ed assunti durante decenni di ricerca e confronto politico per transizioni verso l’energia pulita e contro il riscaldamento globale.

Il Sinodo dell’Amazzonia ha preso posizione chiara contro il modello economico estrattivista, che i vescovi di America Latina definiscono “un’incontrollabile tendenza a convertire in capitale i beni della natura”.
Nella Laudato Si’, Papa Francesco ha dipinto bene il paradosso tra una visione di largo respiro per il bene dell’intera creazione e una politica di corte vedute: “Il dramma di una politica focalizzata sui ri­sultati immediati, sostenuta anche da popolazioni consumiste, rende necessario produrre crescita a breve termine. Rispondendo a interessi elettorali, i governi non si azzardano facilmente a irritare la popolazione con misure che possano intaccare il livello di consumo o mettere a rischio investi­menti esteri. La miope costruzione del potere fre­na l’inserimento dell’agenda ambientale lungimi­rante all’interno dell’agenda pubblica dei governi. (…) La grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi princìpi e pensando al bene comune a lungo termine” (LS 178). 

L’ambiguità dello sviluppo sfida la politica: non sempre la soluzione più conveniente è il vero Bene. Sempre meno il benessere di un popolo e l’inclusione dei più poveri saranno garantiti dall’economia estrattiva.

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