giovedì 8 novembre 2018

Alle porte delle elezioni

Il Brasile si trova in un momento critico, dopo due anni di una gestione irresponsabile e antipopolare, dal giorno del golpe che ha scalzato dal potere la presidente Dilma Rousseff.
La situazione, però, è così instabile che qualsiasi cosa si scriva un giorno, poco dopo può essere totalmente mutata da nuovi fatti*.

Proprio mentre scriviamo, un attentato folle al candidato di estrema destra scombussola di nuovo la scena politica. Si tratta di un’azione isolata, di una persona irresponsabile. Ma è l’incarnazione di un’escalation di violenza e aggressione che si è impossessata della società brasiliana.
È molto difficile riflettere e dialogare in modo costruttivo, oggi, in Brasile. Qualsiasi affermazione è interpretata a partire dal campo di idee che i media ed una strutturata strategia di fake news hanno costruito nella testa e nella pancia di ciascuna persona.
Più di una volta, per esempio, amici sacerdoti, esemplari per il loro impegno sociale e la serietà di analisi, sono stati interrotti ed insultati durante la celebrazione liturgica, per il semplice fatto di cercare di offrire un’analisi della situazione politica che non aggradava gruppi fondamentalisti.

Da dove viene tanta violenza verbale e fisica, che è sfociata in questi mesi nell’assassinio della consigliera comunale di Rio de Janeiro Marielle Franco, negli spari che hanno ferito gravemente una delle persone accampate in protesta nonviolenta per la prigione dell’ex-presidente Lula, nella fucilata all’autobus di una carovana del Partito dei Lavoratori e nell’attentato conto il candidato Bolsonaro?
È una violenza strategicamente costruita giorno per giorno nella coscienza delle persone, soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione controllati da gruppi economici estremamente influenti.
È un processo di decostruzione della politica, intesa come progettualità e partecipazione: non si può considerare nell’interesse del Brasile un progetto neoliberale così sfacciato da disfare in un colpo solo i diritti acquisiti dalle famiglie e dai lavoratori durante anni di dure rivendicazioni.
È uno smontaggio sistematico della memoria storica: non si può, in nome della corruzione (che è trasversale a tutti i partiti politici) e della critica alla gestione del Partito dei Lavoratori (che ha ragioni fondate) innescare e alimentare nelle relazioni un odio generico ed ideologico contro una sola persona o un solo partito.

Avendo seminato vento negli ultimi due anni, nel paese si sta raccogliendo ora la tempesta della violenza e dello spirito fascista, di cui probabilmente anche le forze golpiste hanno perso il controllo.
Il Brasile oggi è estremamente polarizzato. Il centrodestra è così frammentato da aver fatto spiccare un outsider aggressivo, volgare, misogino, razzista e molto vicino al potere militare.
A sinistra, apparentemente più unita, il Partito dei Lavoratori è ancora intrappolato nella difesa dell’ex presidente Lula. Il suo arresto, che gli impedisce di candidarsi, è stato criticato da importanti politici stranieri e perfino da una raccomandazione formale del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU.
L’appoggio popolare a Lula, malgrado imbavagliato in prigione, è cresciuto incredibilmente negli ultimi mesi. Ma il partito non ha preparato con sufficiente visibilità un possibile secondo nome, e non si sa quanto il voto a Lula sarà trasferibile ad una persona meno conosciuta.
Le elezioni non si risolveranno al centro, ma probabilmente in un secondo turno che metterà a confronto due blocchi di elettori, in un conflitto che non terminerà ad ottobre.

Ci aspetta un Brasile spaccato ed ancora imprevedibile nel suo futuro politico-economico e, forse, addirittura nella sua democrazia.

* Questo articolo, pubblicato sulla rivista Nigrizia di ottobre 2018, é stato scritto a inizio settembre.

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