Mi piace correre.
In genere fisso una
meta finale, ma poi nei vari momenti della corsa identifico delle tappe da
raggiungere e mi concentro su di esse, così non mi spavento per tutta la strada
che ancora manca.
Quando mi hanno
chiesto di scrivere sul sogno comboniano, sull’utopia della nostra missione, ho
recuperato quest’immagine. Abbiamo già la meta finale, non occorre riscriverla.
È il Vangelo, che Francesco ha saputo ritradurre così bene nelle sfide di oggi,
donandoci Evangelii Gaudium e Laudato
Sí.
Sulle tappe che dobbiamo
raggiungere e sui percorsi che possiamo continuare a percorrere, vorrei dire
poche cose.
Non occorre
essere comboniani supermen. Siamo persone semplici, con tutti i nostri limiti.
Ma possiamo scegliere i luoghi in cui stare. La storia ci offre i ‘segni dei
tempi’, a cui noi possiamo rispondere con alcuni ‘segni dei luoghi’.
Stare con i
poveri è un segno. Una testimonianza che parla da sola. Perché scomoda la
nostra vita e risveglia la creatività. Quanto più le comunità comboniane si
installeranno tra i poveri e gli abbandonati, tanto più la nostra missione avrà
sapore, e loro ci provocheranno a cercare senso, giustizia e speranza in questa
vita.
Stiamo provando a
chiamare questo atteggiamento come un ‘pellegrinaggio inter gentes’. È un bel nome per un nuovo paradigma di missione.
Il pellegrino è
una persona in ricerca. È bella quest’immagine della missione come ricerca
comune di Dio. Dà un senso nuovo anche alla nostra preghiera, che riparte dalla
storia, racconta quello che stiamo vivendo e sentendo, contempla segni di
speranza e di resistenza tra le persone con cui camminiamo, riconosce la voce
di Dio negli eventi e situazioni che ci capitano, ci indigna e ci sgomenta
finché la vita di tutti non è piena. Anche celebrare diventa un gesto più denso,
più umano.
Si parte dalla
sete comune di giustizia e di pace, dall’urgenza del prenderci cura delle
vittime e della madre terra. Questa sete, come nel caso della Samaritana al
pozzo, ci fa incontrare tra noi e con Dio. Ci fa capire meglio chi è il Signore
della Vita e su quali cammini anche lui si fa pellegrino assetato di umanità.
Scrivo a voi,
giovani, perché abbiamo bisogno di voi. Camminate con noi, aiutateci ad aprirci
di più, abitate le nostre comunità, sognate con noi la missione.
Ha ancora senso
consacrarsi a Dio per tutta la vita su questa strada. Ma è una strada in cui
convergono anche altri: famiglie, laici e laiche missionari, donne e uomini di
Dio che Daniele Comboni, due secoli fa, era già riuscito a mettere insieme, per
la vita dell’Africa, del mondo…
Ad Açailândia,
alle porte dell’Amazzonia brasiliana, proviamo a viverlo.
Ci consideriamo
una comunità-famiglia, anche se –come in tutte le famiglie- non mancano
incomprensioni e conflitti.
Alcuni anni fa ho
provato a riassumere i nostri obiettivi, i sogni ed il nostro tentativo di
realizzarli. Se volete, potete conoscerci meglio leggendo questo articolo.
Da almeno otto
anni stiamo cercando di integrare il cammino di una comunità religiosa (padri e
fratelli) con laici e laiche missionari insieme ai quali, in diversi modi,
condividiamo la missione: ascoltare il grido dei poveri e della Madre Terra,
interpretare le sfide del nostro tempo e del nostro luogo, rispondervi come
comunità e crescere noi stessi insieme alla comunità cristiana locale.
Crediamo molto in
questo stile di missione. “Io, dunque, corro, ma non come uno che è senza
meta”, dice Paolo in 1Cor9. Una delle nostre mete è proprio correre insieme.
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