mercoledì 15 dicembre 2021

Cammini d'Avvento

Oltre al presepe, in Brasile molte famiglie preparano piccoli “altari” dentro di casa, con i simboli religiosi per loro più forti e carichi di speranza.
In una delle case, l’immagine indigena della Madre di Guadalupe era posta in una piccola canoa. Molto significativo, in questi tempi duri di “travessia”, attraversamento della tempesta in cui il nostro paese si trova da più di due anni. 

All’inizio della pandemia, Papa Francesco ha attraversato, camminando da solo sotto la pioggia, la piazza vuota di San Pietro: ha condensato in un simbolo la situazione di molti popoli e famiglie fragili, in un cammino insicuro e al buio, che ci fa affannare. 

Qui in Brasile, come sapete, la tempesta è molteplice: una crisi sanitaria con gravi responsabilità del Governo, una crisi economica di nuovo a livelli di emergenza (19 milioni di persone soffrendo la fame, 72% della popolazione del Nordest in insicurezza alimentare), la crisi della democrazia, con il potere di estrema destra che contamina una società sempre più razzista, violenta e armata, e la crisi ambientale, con la natura soffocata e i popoli originari in grave pericolo.

Eppure, quanta energia si sente nella resistenza della gente! Ve la racconto brevemente nei passi delle mie domeniche di Avvento.
La prima settimana ho potuto celebrarla insieme alla “mia” comunità di Piquiá, in Maranhão, dove ho vissuto per dieci anni. Come ricordate, è una comunità che resiste, che continua a denunciare la violenza dell’inquinamento e la distruzione delle imprese minerarie e siderurgiche che le rubano dignità, goccia a goccia. Da tempo, una delle rivendicazioni è la ricostruzione del quartiere in una regione non inquinata. Il cantiere sta andando avanti, con molte sfide e un enorme quantità di lavoro.

Proprio nei giorni in cui ero là, si è conclusa la copertura del tetto dell’ultima delle 312 case in costruzione. Un simbolo potente, per l’Avvento della nostra gente, che ha molto bisogno di toccare con mano segni concreti di speranza, costruita collettivamente!

Abbiamo celebrato l’Eucaristia nella chiesetta povera di Piquiá de Baixo, consegnando a ciascuno un seme di moringa, una delle piante più ricche di elementi nutritivi. Con il seme in mano, ciascuno ha condiviso la sua speranza e si è impegnato a piantarlo, averne cura, portare il primo germe attorno al piccolo presepio della chiesa nella notte di Natale e poi riprenderlo per trapiantarlo nel luogo che più ama (il cortile di casa o il nuovo quartiere in costruzione, per esempio). 

Subito dopo sono partito per un’altra regione del Maranhão, per partecipare alla riunione delle Pastorali Sociali: la pastorale della terra, quella indigena, la pastorale carceraria, quella degli ammalati di AIDS, quella della salute o dei diritti dei bambini e degli adolescenti…
È stato un fine settimana intensissimo, ascoltando la situazione della gente e di una fetta di Chiesa profondamente attenta alla vita, soprattutto dei più poveri, tra di essi “nostra sorella madre Terra”. Sono momenti in cui si sente nella carne la Chiesa viva del Sinodo dell’Amazzonia, che continua -pur meno visibile- a tessere la speranza dei piccoli alla luce della fraternità universale e cosmica che ci insegna Papa Francesco.

La terza domenica di Avvento l’ho passata… in isolamento! Immergersi tra la gente ha le sue conseguenze, tra cui può esserci pure il Covid. Grazie a Dio e alla ricerca scientifica, il vaccino ha aiutato molto e i sintomi sono stati leggeri. Tempo per moltiplicare i contatti online, perché nel frattempo stiamo organizzando il Forum Sociale Panamazzonico, in cui la nostra rete REPAM si apre all’incontro con i movimenti popolari di questo immenso bioma, come il Papa ci chiede di fare, Chiesa in uscita, costruttrice di ponti!

La tempesta continua forte, in Brasile. Ma ci piace sentire, nella barca, la presenza della Madre di Guadalupe, nell’attraversamento insicuro e carico di attesa dell’Avvento, un po’ come dev’essere stato il suo cammino ansioso e assetato di speranza verso la casa di Elisabetta.
Proprio in novembre si è realizzata in Messico l’ultima tappa dell’Assemblea Ecclesiale di America Latina e Caribe, consacrata alla Guadalupana, protettrice del continente. Non più solo l’alta gerarchia istituzionale, ma i rappresentanti di tutta la Chiesa (20% vescovi, 20% presbiteri, 20% religiosi-e e 40% laici e laiche!), in ascolto della realtà e della Parola che la illumina. Segni di speranza per una Chiesa che si rinnova e cammina a larghi passi verso il Sinodo mondiale. Smontando privilegi, restituendo spazi di decisione alle donne, ripartendo dai piccoli e dalle periferie.

Santa Maria del Cammino, madre indigena dei nostri popoli, non lasciarci soli in questa travessia!

La religione in tempo di pandemia: vecchi interessi e nuovi percorsi

Un servizio essenziale: senza speranza non si sta in piedi. La forza della fede, in questo lungo tempo di pandemia, è uno dei pochi appigli che danno sicurezza alla gente.
Vari leaders religiosi rivendicano, per questo, che le celebrazioni pubbliche siano riconosciute essenziali e siano permessi incontri con molte persone. Ma la fede si sta muovendo anche lungo altri cammini: le famiglie si organizzano nelle loro case, nascono gruppi di preghiera e riflessione online. Alcune diocesi offrono materiali popolari interessanti, per incontri comunitari più piccoli, autogestiti, che non provochino assembramenti. Li chiamiamo “Rodas de conversa”, un ottimo strumento di spiritualità e educazione popolare nato con le comunità ecclesiali di base.

Eppure alcune chiese, soprattutto del filone neopentecostale, alzano sempre di più la voce.
Rivendicano il diritto a grandi celebrazioni e raccolta di offerte, disputando e conquistando nuovi fedeli in cerca di appigli di sicurezza spirituale.
Criticano la quarantena e le misure preventive, garantiscono che con fede, acqua benedetta e clorochina la cura è garantita.
In cambio, provocano i fedeli a fidarsi più della Provvidenza che dei sussidi pubblici, peraltro ora ridotti ad un livello minimo. Sfidano la gente a donare alle chiese anche ciò che fosse essenziale alla sopravvivenza, perché “il Signore ricompenserà”.

Il presidente Bolsonaro, fin dalla sua campagna elettorale, ha stretto una alleanza strategica con chiese e gruppi fondamentalisti, sia neopentecostali che cattolici.
In questa sintonia satanica, il messaggio religioso e politico stimola un ethos eroico: il popolo brasiliano deve essere coraggioso, sfidando la pandemia e le stesse misure restrittive. L’opzione per l’immunità di gregge e la manutenzione del ciclo di produzione e consumo sta costando quasi 500 mila morti e si sostiene anche grazie al messaggio religioso.

La chiesa cattolica è divisa: un certo gruppo difende ancora le politiche genocide del presidente e il suo fondamentalismo moraleggiante. Un altro settore, cosciente e impegnato, prende posizione attiva e fortemente critica. La maggioranza, attenta soprattutto alla crisi umanitaria, organizza con fedeltà e impegno una rete di sostegno e solidarietà. Inoltre, promuove spazi di ascolto e di rifugio spirituale, occasioni di rivitalizzazione, che però possono trasformarsi in isolamento autoreferenziale.

Si moltiplicano, nei social media, messaggi di autostima e counselling spirituale. Guru e maestri di vita cattolica, con milioni di followers, conducono flussi paralleli di cristianismo e spiritualità, spesso autonomi dal magistero della chiesa, slegati da qualsiasi processo comunitario e dall’impegno per la trasformazione delle condizioni strutturali che stanno provocando tanto dolore.

Cercando di valorizzare il laicato con un protagonismo responsabile, la chiesa cattolica sta insistendo sulle dinamiche sinodali, che fomentino la partecipazione ed il senso di appartenenza costruttiva delle comunità. Così come, a livello mondiale, si sta preparando un lungo cammino sinodale sul tema “Partecipazione, comunione e missione”, che culminerà in ottobre 2023, nel nostro continente è già in corso l’Assemblea Ecclesiale di America Latina e Caribe, ora nella sua fase di ascolto e consulta.
La porta di entrata è una analisi lucida della realtà e delle sue sfide. Ma i tempi brevi e la situazione della pandemia lascino una domanda aperta: sarà un’Assemblea capace di mobilizzare e riunire i fedeli? La dinamica sinodale riuscirà a risvegliare il gusto di nuove forme di partecipazione nella Chiesa?

domenica 6 giugno 2021

Quando le vittime alzano la testa

Mattina presto. Una retata antidroga invade la favela di Jacarezinho con decine di poliziotti incappucciati, elicotteri, mezzi pesanti. Si sente odore di morte.
Quando uno dei poliziotti viene colpito alla testa da uno sparo, l’attacco si fa ancora più violento. 


Le fucilate della polizia raggiungono la stazione del treno che attraversa la favela. Due persone sono colpite dentro un vagone. Le case sono invase senza mandato del tribunale; fotografie, alla fine dell’operazione, mostrano pozze di sangue nella camera da letto e pareti schizzate di rosso.

Gli abitanti di Jacarezinho e avvocati popolari denunciano esecuzioni sommarie. Gli stessi agenti filmano il risultato del loro “lavoro”, al punto di mettere in posa un cadavere e ridicolizzarlo.
Poi, portano via i corpi avvolti in lenzuola, come se fossero sacchi di tela, eliminando il corpo del delitto e impedendo indagini chiare.
Cinque ore di operazione, 28 morti. La strage più grande della polizia nella città di Rio de Janeiro. Molti dei corpi uccisi non sono ancora stati riconosciuti, ma il Vicepresidente della Repubblica, un militare, dichiara che “non ha certezza assoluta, ma devono essere tutti banditi”.

Negli stessi giorni di inizio maggio, in Colombia, 47 persone sono assassinate dalla repressione della polizia, determinata dal Presidente Ivan Duque contro le immense manifestazioni pubbliche di protesta in corso. Lo squadrone di sicurezza Esmad, simile al Bope della polizia militare di Rio, è una forza letale, un vero e proprio esercito di strada.
In Colombia le proteste sono contro le misure neoliberali del governo, una riforma tributaria “al contrario”, che sacrifica ancora di più i poveri. Ma denunciano anche lo sgomento per la lentezza delle vaccinazioni e la rabbia per la sospensione del processo di pace e dialogo con le FARC.

Da più parti, nel continente, la protesta della popolazione è affrontata in un clima di guerra, repressione e tortura. Eppure, in vari paesi non si fermano le manifestazioni di piazza, malgrado il limite della pandemia.
Negli Stati Uniti, il movimento Black Lives Matters ha smosso milioni di persone e ha cambiato il futuro della nazione, incidendo anche sul risultato elettorale. In Cile, la protesta popolare ha finalmente provocato l’inizio di un processo di revisione costituzionale.
In Colombia, finora, ha sospeso la legge di riforma tributaria e ha ottenuto le dimissioni del Ministro della Finanza.

In Brasile, sgomenta l’ipnosi che mantiene molta gente nelle sue case: un misto di disinformazione e manipolazione ingannosa, rassegnazione a causa di mobilizzazioni anteriori che non hanno avuto sbocco, intimidazione della protesta da parte delle milizie locali e opportunismo dei latifondiari e grandi proprietari, che appoggiano lo status quo.
Speriamo che anche il gigante addormentato brasiliano riesca a svegliarsi…

domenica 9 maggio 2021

Il grido della foresta

Con il permesso degli spiriti creatori della terra. Con la preghiera solitaria, al suono del flauto, della sábia Maria Antonia, indigena collegata via internet dal cuore della foresta ecuadoriana.
Con le parole di appoggio e vicinanza di mons. Cob, un vescovo “con odore di Amazzonia”.
In un mosaico di voci e testimonianze dai nove paesi della Panamazzonia, si è aperto, a fine febbraio, l’evento “Il grido della foresta”.

La denuncia di Gregorio Mirabal, leader della COICA, è forte: “Ci sentiamo attaccati da una tempesta di pandemie: quella sanitaria, oggi ancor più grave a causa della variante di Manaus; l’estrattivismo che saccheggia le nostre terre; le crisi climatiche, che aumentano inondazioni, siccità, incendi e malattie nei nostri territori; il razzismo e l’autoritarismo, che minaccia i nostri leaders; il patriarcato, che pesa sulla dignità delle donne amazzoniche”.

Ma l’orgoglio e la speranza indigena sono più forti. Con connessioni online a volte un po’ precarie, il coordinamento della COICA è riuscito a mettere in piedi un evento di due giorni, online, che ha collegato i territori indigeni con alleati di tutto il mondo.

Più di ventimila persone hanno seguito le attività, che alternavano testimonianze locali a manifestazioni di appoggio esterne. Dall’India, la solidarietà è giunta dallo sciopero più imponente della storia, al quale hanno aderito 250 milioni di agricoltori, rivendicando dignità e rispetto del loro lavoro. L’Amazzonia si allea e appoggia, perché, senza radici nel territorio, i popoli perdono la loro identità.
Dall’Inghilterra, in piena notte, si sono collegati giovani accampati in un’azione diretta nonviolenta contro grandi progetti di infrastruttura e trasporto, approvati senza un sufficiente consenso delle popolazioni locali.

Antonio Nobre, climatologo e ricercatore brasiliano, ha lasciato il suo tributo alla sapienza ancestrale indigena: “La nostra scienza occidentale, dominante, è giunta a riconoscere valori e principi che gli indigeni conoscevano da tempo. Il vantaggio è che può renderli legittimi agli occhi della cultura tecnocratica, nel sistema di consumo di oggi”.
Adelaide, dal Belgio, ha solo 20 anni, ma tutta l’autorità morale per fare eco a queste riflessioni, rafforzando l’alleanza con i popoli originari. Fa parte del movimento Youth for Climate Movement, insieme a Greta Tunberg. Giovani che stanno dimostrando che possono spostare il corso della storia.

Mentre tutti gli invitati si alternano nel tessere vincoli con la causa indigena e della foresta, dall’Equador, Yindira e altre donne continuano a prendersi cura del “fuoco sacro” che hanno preparato in vista dell’evento. Sulle braci disposte in un grande circolo, spargono continuamente pietruzze di incenso, come a purificare, proteggere e profumare gli accordi che si stanno siglando tra i partecipanti.

Gregorio, come aveva aperto, prende l’ultima parola per chiudere l’incontro: “Noi non siamo i padroni della foresta, ma suoi figli. E ce ne prendiamo cura. Ma voi, cosa state facendo? Dormite? Svegliamoci! Non c’è tempo da perdere! Abbiamo bisogno di voi!”.

Chi decide il futuro del Pianeta?

In questo momento di crisi globale, su chi puntare per promuovere cambiamenti effettivi, solidi e permanenti?
Gregorio Mirabal, leader indigeno venezuelano, presidente della Confederazione delle Organizzazioni Indigene del Bacino Amazzonico (COICA), dichiara con forza: “Noi, popoli amazzonici, non siamo né i destinatari né gli operatori di scelte politiche sui nostri territori: siamo quelli che hanno preservato l'Amazzonia per secoli. La nostra voce e la nostra conoscenza devono guidare la politica pubblica e la scienza nella sua protezione, non il contrario.”

Papa Francesco ha ribadito questo messaggio nell’esortazione Querida Amazônia: “Il dialogo non deve limitarsi a privilegiare l'opzione preferenziale per la difesa dei poveri, degli emarginati e degli esclusi, ma deve anche rispettarli come protagonisti” (n. 27).

La grande politica, però, viaggia con altri principi e passa al di sopra di questi valori e rivendicazioni. Lo dimostra un possibile accordo, finora tessuto in segreto e senza nessuna trasparenza, tra gli Stati Uniti e il Brasile.
Il presidente Biden si è eletto con un progetto politico ambizioso, estremamente attuale e urgente, sul piano climatico: una drastica transizione ecologica, con riduzione consistente dei gas serra entro il 2030.

Il Climate Summit che ha convocato il 22 di aprile, giornata mondiale della Terra, è stata l’occasione per assumere formalmente questo impegno, in totale rottura con la linea negazionista del suo predecessore, Donald Trump. Inizia, così, un percorso di nuove possibili alleanze verso la COP26 di Glasgow, in novembre, che sarà una tappa decisiva nel tentativo di oltrepassare il minimo possibile la soglia di 1,5oC di riscaldamento globale, rispetto ai livelli preindustriali.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterrez, dichiara spesso che la crisi climatica è molto più grave e allarmante della stessa pandemia, che ci sta mettendo in ginocchio da più di un anno.
Ha quindi molto senso un impegno consistente delle nazioni contro i cambiamenti climatici, assumendo con coerenza il modello dell’ecologia integrale. 

Però, i possibili accordi tra Stati Uniti e Brasile in difesa dell’Amazzonia, come bioma chiave nella strategia di difesa della biodiversità e cattura di CO2, ci preoccupano molto, almeno per tre motivi:
-    vengono realizzati senza coinvolgere direttamente i popoli amazzonici, i primi con il diritto di manifestarsi e con conoscenze e stili di vita che indicano come convivere con la foresta senza distruggerla;
-    preparano una possibile cooperazione internazionale con un governo, in Brasile, apertamente anti-ambientale, anti-indigeno, anti-democratico, negazionista e opposto alle raccomandazioni scientifiche, la cui gestione della pandemia sta provocando sempre più morte e povertà;
-    possono essere uno stratagemma elegante per mascherare l’accesso all’Amazzonia di imprese straniere che riciclano le loro pratiche con operazioni di greenwashing, riproponendosi con il marchio -spesso contradditorio- di “capitalismo verde”.

Chi decide il futuro del Pianeta? Occorrono, senza dubbio, meccanismi urgenti di transizione, accordi formali tra le nazioni e strategie efficaci di cooperazione.
Ma non si tolga la voce e il protagonismo dei guardiani della vita, delle acque, della terra e della foresta, che da tempo ci insegnano qual è il cammino.

sabato 6 marzo 2021

Fraternità e dialogo: che sfida per il Brasile!


João Pedro aveva 14 anni. Stava giocando dentro casa, quando una sparatoria della polizia lo ha colpito e ucciso, accidentalmente.
Miguel Otávio ne aveva 5. Sua mamma lo portava con sé al lavoro perché non aveva dove lasciarlo, in piena pandemia, trovandosi lei stessa obbligata a continuare come badante in un appartamento di gente ricca. La mamma stava portando a spasso i cagnolini di casa, mentre in casa la padrona si faceva curare le unghie. Miguel, trascurato nell’appartamento, è caduto, dal nono piano. Entrambi erano di famiglie povere e afro discendenti.
Anche il tasso di omicidi delle donne dentro casa (femminicidio) sta aumentando: a São Paulo è raddoppiato, in tempi di quarantena.

La Chiesa, in Brasile, si sente molto sfidata da queste situazioni. Ma la religione può essere al tempo stesso cammino di vita, o fonte di divisione, di preconcetto e di morte.
Sempre più l’elemento religioso viene associato al potere politico, spesso per giustificarlo o assolverlo. Quando riflettono sulla situazione sociale del Paese e sulla missione cristiana, le comunità credenti e la società stessa si dividono, mettendo in luce fratture profonde e polarità incapaci di dialogo.

È in questo contesto che celebreremo la Quaresima, lasciandoci illuminare dalla Campagna della Fraternità (CF). Come tutti gli anni, scegliamo un tema comune per la riflessione nelle comunità cristiane e in ogni casa, con l’impegno di cambiamenti e azioni concrete. Quest’anno, la CF è ecumenica: mette insieme la chiesa luterana, presbiteriana, cattolica, ortodossa siriana, battista e altre denominazioni.
Ci concentreremo sul tema “Cristo è la nostra pace: di ciò che era diviso, ha fatto unità”, lasciandoci ispirare dalla carta di Paolo agli Efesini. 

La sfida del dialogo, in un mondo frammentato e contrapposto, è un tema che Papa Francesco ha rilanciato con le ispirazioni profonde dell’enciclica Fratelli Tutti. L’unità che il dialogo deve cercare, dice il testo della Campagna della Fraternità, non può scegliere le scorciatoie del silenzio e dell’omissione. Non è semplicemente un minimo comune denominatore, una potatura dei pensieri e delle posizioni che ci fanno differenti.
Non è la pacificazione di ciò che ci inquieta, ma -come ha detto il vescovo profeta Pedro Casaldáliga- “la pace che invade, con il vento dello Spirito, la routine e la paura, la calma delle spiagge e quella preghiera che si fa rifugio”.
È una conversione continua alla persona di Gesù, il crocifisso, che con la sua vita e morte ha denunciato, nel simbolo della croce, la necropolitica del suo e dei nostri tempi.

La CF 2021 propone ai cristiani in Brasile un cammino spirituale per abbattere l’odio, ricreare persone nuove, promuovere atteggiamenti di servizio e amore che smontino le barriere e sorprendano resistenze ideologiche.
Il testo si chiude con esempi concreti che le chiese hanno realizzato, insieme, per riparare ferite e violazioni provocate dal preconcetto religioso o razzista. Richiede che si valorizzi il ruolo delle donne nelle chiese, come segno di superazione delle nostre discriminazioni storiche. Insiste sull’importanza di chiedere perdono all’intera Creazione, se crediamo nello Shalom, la pienezza di pace verso cui la Bibbia ci smuove.
Ci aspetta una Quaresima di conversione profonda!

sabato 6 febbraio 2021

Vaccinazione: un test per l'umanità

L’accesso universale alla vaccinazione contro il Covid-19 è un test per l’umanità.

Papa Francisco lo ha chiesto a chiare lettere a Natale: secondo lui, la discriminazione sanitaria è uno dei più gravi “muri” che dividono le persone dai loro diritti.
I paesi più ricchi si sono già garantiti perlomeno metà delle vaccinazioni disponibili per quest’anno, e così almeno un quinto dell’umanità potrà sentirsi al sicuro solo nel 2022.
Il programma dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) per la ridistribuzione del vaccino ai paesi più poveri, il Covax, corre serio pericolo di non sostenersi, per limiti economici.

Questo squilibrio a livello mondiale si ripete in Brasile. Siamo il settimo paese più diseguale al mondo (i primi sei si trovano nel continente africano); abbiamo la seconda più alta concentrazione di redditi al mondo, solo dopo il Qatar.
Abituati a convivere senza molti drammi con una tale disuguaglianza, molti trovano quasi “normale” lasciare la soluzione per il virus all’iniziativa privata. Chi può, si affretti a curarsi.

A inizio gennaio, le cliniche private in Brasile hanno iniziato a negoziare l’importazione di 5 milioni di dosi di vaccinazioni, dall’India.
La logica è che la libertà è un valore che sta al di sopra della salute pubblica.
Lo ha scritto anche il nostro Ministro degli Esteri, Ernesto Araújo, secondo cui «il mondo non si deve organizzare attorno al principio dello “sviluppo sostenibile”, né quello della “sanità”. Non si devono considerare questi temi “globali” come una delle più alte priorità mondiali, poiché non hanno nulla a che vedere con la libertà e servono appena ad interessi anti-democratici. (…) Si ferirebbe a morte la libertà e non si produrrebbe nessuno tipo di sviluppo».

Il peggio avviene quando alla priorità “liberale” si associa l’incompetenza: il Ministero della Salute si è accorto che non ci sono siringhe sufficienti per applicare le vaccinazioni, e il Presidente della Repubblica ha dichiarato che, in questo momento, i prezzi delle siringhe sono molto alti, data la grande richiesta, e attenderà che si abbassino.
Malgrado lo stesso Presidente abbia autorizzato, in maggio 2020, l’acquisto di componenti chimici di base per la fabbricazione della clorochina ad un prezzo sei volte più alto del normale.
E così, ora abbiamo 2 milioni e mezzo di pastiglie di idrossiclorochina incagliate nei magazzini, un budget di 250 milioni di Reais per smaltirle in presunti “kit anti-Covid” da distribuire gratis nelle farmacie, ma non ci sono fondi per le siringhe della vaccinazione!

La beffa è che, storicamente, il Brasile ha costruito uno dei sistemi più efficaci e ben organizzati per l’immunizzazione della sua popolazione. Ora, però, non siamo in grado di applicarlo all’emergenza Covid.
Lasciare all’iniziativa privata la cura di una malattia diffusa è molto pericoloso: si perde il controllo sistematico delle vaccinazioni applicate e si compromette sul nascere un piano organizzato e capillare.  

L’immunizzazione è diritto di ogni cittadino; per garantirlo, e per evitare disuguaglianze, nel Regno Unito il governo e le aziende farmaceutiche hanno elaborato accordi per impedire l’acquisto della vaccinazione da parte delle cliniche private, almeno finché la maggioranza della popolazione non sarà stata vaccinata dal sistema di sanità pubblica.
Mentre Papa Francesco ha iniziato l’anno rilanciando il valore del “prendersi cura” gli uni degli altri, la politica brasiliana rilancia il grido primitivo del “si salvi chi può”.

mercoledì 6 gennaio 2021

Prendersi cura

C’è una posizione che la Chiesa ha sempre assunto, forse senza mai comprendere pienamente la radicalità del suo messaggio. È quella della cura.
È una delle parole chiave nel Vangelo e nella vita di Gesù: come lui, chi si immerge così profondamente nella vita della gente non può ignorare le sfide del quotidiano, la lotta contro una malattia, la paura della morte.

Il monaco benedettino Marcelo Barros, alla fine della celebrazione dell’Eucarestia, suole chiamare vicino all’altare le persone ammalate e benedirle, una a una, con le mani sulla loro testa, con parole semplici e una carezza.
Un buon prete di periferia, in silenzio, senza pubblicità, visita gli ammalati del quartiere nelle loro case; si fa presente, anche solo con una preghiera e a volte il balsamo dell’olio e il suo profumo di protezione. Quando ci crede, monta una rete di persone che continuino a visitare; in certe parrocchie in Brasile le chiamiamo “Ministri della Speranza”.

Per dirlo in portoghese, c’è una parola bella e intraducibile: “cuidado”.
Non è la “cura”, che spesso si invoca miracolosamente, quasi debba piovere dal cielo. È il prendersi cura. È un verbo riflessivo, perché restituisce cura anche a chi la offre.
Vale tra le persone, ma anche con nostra sorella madre Terra. Per questo, sta nel titolo dell’enciclica Laudato Si’, “Sul cuidado della casa comune”, ed è una parola chiave di questo documento (appare per ben 57 volte). In Laudato Si’, Papa Francesco propone la conversione radicale alla “Cultura del cuidado”. Nell’enciclica Fratelli Tutti, sviluppa l’idea e la arricchisce con la “Cultura dell’incontro”. Si tratta, in entrambi i casi, di relazioni nuove da coltivare.

La pandemia che stiamo attraversando amplifica l’urgenza di questa conversione, che non può essere solo personale o pastorale, ma deve diventare politica, strutturale.
È indignante che, proprio durante la pandemia, la fortuna di 42 famiglie, le più ricche del Brasile, sia cresciuta di 34 miliardi di dollari! Nel frattempo, il Governo stringe sempre più i sussidi alle famiglie senza lavoro e senza cibo, tagliandoli definitivamente, ora, a fine anno.
Si tratta di un omicidio sistematico, benedetto dal potere politico: questa economia uccide, grida con forza Papa Francesco!

In parallelo, il sistema di sanità pubblica in Brasile viene strategicamente indebolito. Le politiche di austerità e i regimi fiscali regressivi tagliano la disponibilità di fondi statali, in totale contraddizione con le lezioni che ci sta dando l’emergenza Covid-19. 

La pandemia ci sbatte in faccia altre due evidenze: una è il machismo che attraversa tutte le nostre relazioni, fino a quelle più intime, in famiglia. La divisione patriarcale del lavoro sta provocando una giornata tripla per le donne: spesso in città, in cerca di lavoro, al rientro devono gestire contemporaneamente, da sole, l’amministrazione della casa e l’attenzione ai figli, già che le scuole continuano chiuse.
Inoltre, il razzismo, impregnato culturalmente e storicamente nelle nostre relazioni sociali. Proprio alla vigilia della giornata nazionale per la dignità degli afro discendenti, anche in Brasile si è ripetuta la triste vicenda che, negli Stati Uniti, ha soffocato la vita nera di George Floyd. João Alberto è il nome che, anche qui, sta diventando simbolo della resistenza contro il razzismo.

L’epoca delle pandemie si sta disegnando non come emergenza, ma come conseguenza permanente del modo di vita e produzione che abbiamo scelto. Mentre cerchiamo di smantellarlo, occorre ricostruire una profonda cultura del cuidado.