mercoledì 14 agosto 2019

Resistenza e profezia in Amazzonia

“Per noi i nomi sono importanti. La nostra città si chiama Açailândia, terra dell’açaì, il frutto amazzonico più carico di vita. La madre terra, come tutte le madri, ci dà nome.
Il nostro quartiere si chiama Piquiá: uno degli alberi maestosi della foresta, che non c’è piú”.
Sono alcuni tratti della condivisione di dona Tida, leader della comunità di Piquiá de Baixo, vittima degli impatti socioambientali dell’impresa mineraria Vale e delle siderurgiche, installate da più di trent’anni nell’Amazzonia orientale brasiliana, ricca di ferro e di acqua.

“Queste imprese hanno distrutto la nostra storia. Macinano la nostra memoria insieme alle scorie minerali, la offuscano dietro la cortina di fumo del loro inquinamento”, le fa eco Joselma, che per denunciare queste violazioni è già stata anche all’ONU, a Ginevra.

Le donne di Piquiá hanno scritto nella loro pelle un racconto che ritroviamo, molto simile, in tante altre parti dell’Amazzonia. La storia del conflitto di due modelli: quello del saccheggio, estrattivismo predatorio di imprese e potere pubblico che si impone dall’esterno, e quello della convivenza con il bioma, in difesa del territorio, che è lo spazio delle radici di una comunità.

I treni della Vale, che strappa minerale di ferro dalle viscere della foresta e lo esporta in Cina e in Europa, portano via la storia della gente, un granello alla volta, in 200 milioni di tonnellate all’anno.
Poco a poco, tutto diventa uguale, in queste intrusioni del “progresso” nel bioma amazzonico: il latifondo, la monocultura, l’allevamento, l’estrazione minerale, gli immensi corridoi di esportazione…

Il ciclo della natura è marcato dal seminare, attendere, cogliere, ringraziare e condividere. Il cammino della vita è fecondare, generare, educare, creare, curare e morire.
Ma lo schema capitalista è obbligatorio e sempre uguale. Ci domina, dentro e fuori dell’Amazzonia, lungo tutte le latitudini: saccheggiare, produrre, consumare, scartare.

Eppure, “Molto! Potete fare molto. Voi, i più umili, gli sfruttati, i poveri e gli esclusi, potete e già fate molto. Oso dire che il futuro dell’umanità si trova, in grande parte, nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzarvi e promuovere alternative creative (…) e nella vostra partecipazione come protagonisti nei grandi processi di cambiamento”.
Papa Francesco non si scoraggia. Nel 2° incontro mondiale con i movimenti popolari, ha sottolineato che la storia è scritta dai piccoli. Sono gli unici che riescono ad attraversare le righe, parlare altre lingue, immaginare grammatiche nuove, preservare la diversità creatrice. 

Piquiá lo conferma: da 14 anni sta resistendo, in una lotta contro giganti. La comunità non si è rassegnata all’alternativa diabolica tra il diritto al lavoro o alla salute. Ha detto no, si è infiltrata come un granello nell’ingranaggio dell’economia che uccide. Sta denunciando questa violenza a livello nazionale e internazionale, esige riparazione integrale. Ha conquistato il diritto ad un nuovo quartiere, per tutti, in una regione non più marcata dall’inquinamento. Sta costruendo una nuova storia, senza tagliare le sue radici.

Papa Francesco guarda all’Amazzonia non solo per preservarla, come uno degli ultimi baluardi di resistenza allo sterminio della biodiversità e al riscaldamento globale.
Soprattutto, intuisce che il nuovo è in gestazione nell’Amazzonia, nascosto nelle intuizioni dei popoli indigeni e delle comunità tradizionali, nella relazione integrale delle loro società con la Madre Terra. Il Sinodo, forse, ci aiuterà a comprenderlo meglio.

Foto: Marcelo Cruz

Fratelli d'Italia

Nei mesi scorsi, nuove coincidenze hanno avvicinato il Brasile e l’Italia.
Il gesto del primo ministro Salvini, che ha baciato il rosario in Piazza Duomo a Milano, affidando al cuore immacolato di Maria la speranza di vittoria politica alle elezioni europee, ha avuto una risonanza internazionale.
Negli stessi giorni, e non per coincidenza, il Presidente della Repubblica Bolsonaro convocava nella sede presidenziale di Brasilia un atto formale di “Consacrazione del Brasile al Cuore Immacolato di Maria”.

Bolsonaro si dichiara cattolico, afferma aver frequentato la Chiesa Battista per dieci anni ed è stato battezzato da un pastore evangelico della chiesa Assemblea di Dio nel 2016, nelle acque del fiume Giordano.
La celebrazione di Brasilia è stata organizzata da un blocco di parlamentari cattolici, in un momento in cui occorreva manifestare appoggio al Presidente. Partecipava anche un vescovo brasiliano, dell’unica Amministrazione Apostolica Personale della Chiesa Cattolica esistente nel mondo, creata per i fedeli che si avvalgono della messa con rito tridentino.

Tanto il Brasile come l’Italia sono stati, negli ultimi mesi, campi sperimentali per nuove strategie di influenza socio-politica a partire dalla manipolazione della religione.
Il mentore di queste pratiche è il conosciuto Steve Bannon, ex-consigliere di Trump, che aveva montato in un monastero poco fuori Roma una “scuola di gladiatori”, per formare la “prossima generazione di leaders nazionalisti e populisti” in tutta Europa (sono espressioni sue, riportate in un articolo di The Independent).

L’estrema destra ha bisogno di consenso per sostenere le sue idee e giustificare proposte che, pur essendo populiste, non sempre sono popolari, perché mascherano gli interessi neoliberali di chi controlla il capitale finanziario.
In Brasile, questo movimento di seduzione della sensibilità religiosa popolare nel mondo cattolico avviene, addirittura, affrontando la stessa Conferenza dei Vescovi (CNBB). Ingigantisce lo spettro dell’ideologia di genere o della lotta al comunismo (!), fa appello a valori generici come la difesa della famiglia e dei buoni costumi, congrega i gruppi religiosi più conservatori e fanatici e denuncia la CNBB accusandola di posizionarsi politicamente, quando si esprime sulla grave situazione del Paese a partire dalla Dottrina Sociale della Chiesa.

Paradossalmente, il governo aggrega consenso religioso proclamandosi difensore della famiglia, ma ne pregiudica le condizioni minime di sussistenza, tagliando i programmi sociali per il diritto alla casa, mettendo in ginocchio l’educazione pubblica, compromettendo il diritto a pensioni giuste e dignitose, soprattutto per i più poveri.

“Dio al di sopra di tutti”, è lo slogan del Governo Bolsonaro, che afferma: “Lo Stato è laico, ma la gente no: tra cattolici ed evangelici, siamo quasi il 90%”.
E così, il Dio del Presidente e dei suo fedeli (il bolsonarismo oggi si sostiene perché ha assunto i tratti fanatici di una religione personale) assume il diritto di elevarsi al di sopra degli altri, per affermare la morale e gli interessi di chi si trova al potere.