domenica 10 marzo 2019

Un lamento per Brumadinho


“É un male necessario”. “Per garantire lo sviluppo, a volte è inevitabile sottomettersi a qualche sacrificio”. “Grazie alle moderne tecnologie, possiamo sfruttare le risorse della Terra in modo pulito, sicuro e sostenibile”.


Siamo abituati ad ascoltare queste frasi sulla bocca di qualche politico o manager di impresa multinazionale, per aumentare l’espansione dell’estrazione mineraria.

Dalla parte opposta, Papa Francesco, nell’Enciclica Laudato Si, prende posizioni chiare e forti, soprattutto sull’urgenza di porre dei limiti.
Nel mezzo, ci sono le vittime.

Il crimine ambientale delle imprese minerarie Vale e BHP a Mariana, nel 2015, ha ucciso 19 persone e contaminato l’intero bacino del Rio Doce.
In gennaio 2019, la Vale ha sepolto nel fango dei suoi rifiuti tossici almeno 339 persone, a Brumadinho. Molti dei loro corpi non sono ancora stati ritrovati. Un altro bacino fluviale, quello del Rio Paraopebas e São Francisco, si sta contaminando in modo irreparabile.

Conoscevamo Brumadinho, abbiamo celebrato con la gente di quella comunità, con loro dialogavamo riguardo alle alternative per superare l’estrazione mineraria.
Da dieci anni, la Rete Internazionale delle Vittime di Vale denuncia che i danni ambientali, le morti e gli incidenti non sono errori puntuali, imprevisti inevitabili.
Sono l’aspetto strutturale degli investimenti minerari, che nel calcolo dei profitti inseriscono, sadicamente, i costi ambientali e sociali. Fanno parte del modello estrattivo, di questa competizione assurda che strappa le viscere della terra ad un ritmo sempre più rapido, per portarle sempre più lontano, tagliando i costi della prevenzione e della sicurezza per competere con un oligopolio sempre più ridotto e forte.

Uno dei vescovi di Belo Horizonte ha definito questo crimine “un omicidio collettivo”.
In queste settimane, la rete Iglesias y Minería (Chiese e Attività Minerarie) si trova là, a fianco della gente di Brumadinho, condividendo l’angoscia di chi ha perso familiari, terra o casa. Cerchiamo di offrire, attraverso la chiesa locale e le pastorali sociali, supporto, orientamento, organizzazione per tutte le rivendicazioni di cui le vittime hanno diritto.
Occorre vigilare perché l’alleanza storica tra lo Stato e le imprese estrattive non trasformi ancora una volta questo dramma in un “inciucio”, che mette qualche pezza agli strappi del sistema e lo rilancia, impune, fino alla prossima tragedia.

L’impunità genera l’arroganza di questo modello di produzione e consumo; è la causa principale del ripetersi di tante morti.
Sia lo Stato che la Vale sapevano del pericolo di Brumadinho. Si sono coperti a vicenda, lo hanno sottovalutato, probabilmente sfuggiranno di nuovo ai processi criminali.
Una multa si sconta in fretta dai margini di profitto a nove cifre dei colossi multinazionali.

Brumadinho ci insegna l’urgenza di un Trattato Vincolante che obblighi le imprese al rispetto dei Diritti Umani.
Smonta le frasi fatte che giustificano la necessità di estrarre finché tutto sarà esaurito.
Restituisce la voce alle comunità, che da tempo rivendicano il diritto alla decisione sul futuro dei loro territori.
Rinnova la sfida per pensare e costruire una transizione che ponga limiti all’estrattivismo, permettendo solo l’attività mineraria essenziale, promuovendo e investendo in alternative di produzione e convivenza con la Creazione.

Ripartiamo da Brumadinho lanciando alle chiese e ai gruppi religiosi l’appello a ritirare gli investimenti dall’industria mineraria. È anche questo un modo per sfuggire da ogni complicità!