Un vescovo della “vecchia guardia” ci raccontava che un giovane padre missionario, arrivato da poco nella sua diocesi nel nord del Brasile, non resistette più di un mese e subito sentì il bisogno di sfogarsi: “Qui non c’è posto per me. I laici fanno tutto…”. Per quanto il vescovo cercasse di parlargli di una chiesa ministeriale e lo invitasse ad inculturarsi, il padre tornava frequentemente a lamentarsi. “Arrivederci –concluse il vescovo-. Realmente questo non è il tuo posto”.
Sono passati parecchi anni, ma nuovamente la Chiesa del Brasile ha sentito la necessità di battere su questo tasto, ed ha convocato un anno intero di riflessione e conversione sul protagonismo di laici e laiche. Forse perché, invece di avanzare, la nostra Chiesa sta indietreggiando su questi temi.
In parallelo, in agosto, l’America Latina celebrerà 50 anni dalla Conferenza di Medellin.
Quello di Medellin è stato un messaggio forte per tutti gli “affamati e assetati di giustizia”. Ha posto la Chiesa in condizione di esodo, chiamandola a passare da un contesto di oppressione sociale, politica ed economica, verso una liberazione integrale della persona e della società.
L’incontro di tutti i vescovi latinoamericani, nel 1968, ha promosso le Comunità Ecclesiali di Base (CEBs), ha rilanciato i laici e laiche perché assumessero il loro ruolo “sacerdotale, profetico e regale” e ha invitato le chiese locali a formare Commissioni di Giustizia e Pace, perché questo impegno passasse da estemporaneo a strutturale dentro la Chiesa.
L’anno scorso, proprio a Medellin, Papa Francesco ha spiegato meglio: i discepoli missionari “sanno come guardare alla vita, senza miopie ereditarie; guardano con gli occhi ed il cuore di Gesù, e solo in seguito giudicano. Sono discepoli che rischiano, agiscono e si impegnano”.
Conosciamo molti di questi discepoli, uomini e donne semplici, che nelle comunità di base donano la vita e si giocano fino in fondo. Celebrano la Parola di Dio alla domenica, nelle comunità che un sacerdote non riesce a raggiungere; coordinano i consigli di comunità e conducono la vita quotidiana della chiesa locale; visitano gli ammalati e portano loro l’Eucarestia.
Eppure, occorre avanzare di più. Laici e laiche hanno “il diritto ad avere doveri” nella Chiesa: il loro lavoro non è un semplice addendo complementare ai compiti del parroco; non sono collaboratori, ma protagonisti di azioni esclusive, che solo loro sanno e possono realizzare.
Già nella Conferenza di Puebla si diceva che laici e laiche sono il volto della Chiesa nel mondo, ma anche il volto del mondo nella Chiesa.
In vari casi, però, le malattie della Chiesa li hanno contagiati: vari laici si riconoscono nel clericalismo, anzi, lo alimentano, confermando una logica di dipendenza dalle decisioni e dalla “sacralità” della figura sacerdotale. Tutte le strutture gerarchiche, in un certo modo, trasmettono sicurezza, che è una delle dimensioni di cui apparentemente la società spaventata di oggi sente bisogno. La fuga nel clericalismo può soffocare la sfida di nuovi protagonismi e ministeri nella Chiesa.
Ma un nuovo volto della Chiesa è urgente e necessario. Lo stiamo dibattendo anche in vista del Sinodo Speciale per l’Amazzonia, il cui cammino è già iniziato.Ne riparleremo!
Sono passati parecchi anni, ma nuovamente la Chiesa del Brasile ha sentito la necessità di battere su questo tasto, ed ha convocato un anno intero di riflessione e conversione sul protagonismo di laici e laiche. Forse perché, invece di avanzare, la nostra Chiesa sta indietreggiando su questi temi.
In parallelo, in agosto, l’America Latina celebrerà 50 anni dalla Conferenza di Medellin.
Quello di Medellin è stato un messaggio forte per tutti gli “affamati e assetati di giustizia”. Ha posto la Chiesa in condizione di esodo, chiamandola a passare da un contesto di oppressione sociale, politica ed economica, verso una liberazione integrale della persona e della società.
L’incontro di tutti i vescovi latinoamericani, nel 1968, ha promosso le Comunità Ecclesiali di Base (CEBs), ha rilanciato i laici e laiche perché assumessero il loro ruolo “sacerdotale, profetico e regale” e ha invitato le chiese locali a formare Commissioni di Giustizia e Pace, perché questo impegno passasse da estemporaneo a strutturale dentro la Chiesa.
L’anno scorso, proprio a Medellin, Papa Francesco ha spiegato meglio: i discepoli missionari “sanno come guardare alla vita, senza miopie ereditarie; guardano con gli occhi ed il cuore di Gesù, e solo in seguito giudicano. Sono discepoli che rischiano, agiscono e si impegnano”.
Conosciamo molti di questi discepoli, uomini e donne semplici, che nelle comunità di base donano la vita e si giocano fino in fondo. Celebrano la Parola di Dio alla domenica, nelle comunità che un sacerdote non riesce a raggiungere; coordinano i consigli di comunità e conducono la vita quotidiana della chiesa locale; visitano gli ammalati e portano loro l’Eucarestia.
Eppure, occorre avanzare di più. Laici e laiche hanno “il diritto ad avere doveri” nella Chiesa: il loro lavoro non è un semplice addendo complementare ai compiti del parroco; non sono collaboratori, ma protagonisti di azioni esclusive, che solo loro sanno e possono realizzare.
Già nella Conferenza di Puebla si diceva che laici e laiche sono il volto della Chiesa nel mondo, ma anche il volto del mondo nella Chiesa.
In vari casi, però, le malattie della Chiesa li hanno contagiati: vari laici si riconoscono nel clericalismo, anzi, lo alimentano, confermando una logica di dipendenza dalle decisioni e dalla “sacralità” della figura sacerdotale. Tutte le strutture gerarchiche, in un certo modo, trasmettono sicurezza, che è una delle dimensioni di cui apparentemente la società spaventata di oggi sente bisogno. La fuga nel clericalismo può soffocare la sfida di nuovi protagonismi e ministeri nella Chiesa.
Ma un nuovo volto della Chiesa è urgente e necessario. Lo stiamo dibattendo anche in vista del Sinodo Speciale per l’Amazzonia, il cui cammino è già iniziato.Ne riparleremo!
1 commento:
https://salvateilcristodalcattolicesimo.blogspot.com/
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