mercoledì 12 febbraio 2020

Dio? In fondo a destra


Italia, Ungheria, Stati Uniti e Brasile: nel mondo-villaggio, scenari politici e religiosi molto distinti non sono però così distanti.
Abbiamo contribuito recentemente ad un’inchiesta giornalistica che sarà pubblicata in un libro dal titolo intrigante: “Dio? In fondo a destra”.

Già l’anno scorso, in questa rubrica, riflettevamo sul ruolo ambiguo della religione a servizio di progetti politici fondamentalisti. La storia conferma una tendenza che preoccupa sempre di più.
In Brasile, il Presidente della Repubblica ha lasciato il suo partito per conflitti interni e si propone di fondarne uno nuovo, in tempi brevissimi, reclutando la maggior parte dei membri tra i fedeli delle chiese evangeliche del Paese, offrendo loro in cambio benefici politici e privilegi fiscali.

Nel nome del nuovo partito risuonano categorie religiose e richiami biblici: “Alleanza per il Brasile”. Il suo numero di identificazione, per il voto nell’urna elettronica, è il 38: un evidente riferimento al calibro dei revolver il cui uso il Governo ha autorizzato nei territori rurali, per l’esercizio della legittima difesa personale e della proprietà.

Il valore assoluto della proprietà privata, la religione come difesa delle tradizioni e dei diritti di chi aderisce al gruppo dei “nostri”, la violenza legittima per sconfiggere le minacce, la militarizzazione della società: ecco alcuni dei principi chiave della cultura politico-religiosa che si sta consolidando in Brasile.
Una delle tentazioni più forti per la religione cristiana, che seduce sia i cattolici che i protestanti, è il ritorno all’esercizio confessionale della politica: disputare il potere, per affermare in modo diretto e strutturale la cristianizzazione della società.

La grande conquista della modernità è stata la separazione tra Stato e Chiesa, religione e esercizio della cittadinanza. Purtroppo, in vari casi ciò ha provocato la “privatizzazione” della fede, relativizzando le responsabilità pubbliche dei credenti. Credere è diventato spesso un rapporto individuale con Dio. Si stipula un contratto di santità in cambio della salvezza, le cui condizioni sono una rigorosa condotta morale, la fedeltà alla partecipazione al culto e il religioso pagamento delle decime.

Ma la difesa moderna dello Stato laico è oggi smentita da nuove alleanze tra religione e politica. Questa approfitta di quella come strumento di seduzione delle coscienze, riduzione della protesta sociale, orientamento del voto dei fedeli.  La religione, da parte sua, si avvale del potere pubblico come scorciatoia per installare i valori cristiani nella società.

É facile e molto utile manipolare la religione come strumento psicologico per proteggere relazioni di alleanza e giustificare l’accanimento contro tutto ciò che può essere considerato “nemico della fede”. I princìpi religiosi possono distinguere in modo manicheo il bene dal male, i santi dai peccatori; chi li controlla si può affermare come leader politico, con la prospettiva messianica di “portare in salvo il Paese”, eliminare deviazioni e minacce all’ordine morale stabilito. 

Si tratta di una debolezza dello spirito intimamente religioso del popolo brasiliano? A giudicare dalle affinità con la situazione di vari altri paesi, sembra piuttosto una strategia ben architettata, che fa gioco sulla dimensione più intima, preziosa e fragile della persona: la sua spiritualità. Coltiviamola e difendiamola: quanto più profonda, meno sarà esposta a queste manipolazioni.

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