Seicento indigeni Pemon attraversano di nascosto la frontiera tra Venezuela e Brasile.
Raggiungono i loro “parenti”, della stessa etnia che il confine di stato ha separato; si fermano con loro, in una terra indigena che non avrà condizioni di mantenere tutte queste famiglie.
Fuggono dal conflitto e dalla fame in cui il Venezuela si è (o è stato) ridotto.
Raggiungono i loro “parenti”, della stessa etnia che il confine di stato ha separato; si fermano con loro, in una terra indigena che non avrà condizioni di mantenere tutte queste famiglie.
Fuggono dal conflitto e dalla fame in cui il Venezuela si è (o è stato) ridotto.
Boa Vista e Manaus sono le prime capitali brasiliane in cui molti altri migranti e rifugiati venezuelani si installano, spesso di passaggio, accampati alla stazione degli autobus o negli strapieni centri di accoglienza urbani.
Stoccate alla frontiera, tonnellate di “aiuti umanitari” finanziati dagli USA perché il Brasile le donasse ai venezuelani, attendono di poter varcare il confine. Il governo Maduro non lo permette, e la frontiera è chiusa da varie settimane.
La Croce Rossa Internazionale, la Caritas e la stessa ONU non hanno accettato di collaborare con questa modalità di aiuto puntuale, mediatico, strumento strategico di una possibile manipolazione politica: l’operazione non è organizzata con accordo previo tra le parti locali e non prevede il coordinamento di istituzioni internazionali neutre.
Per questo lo chiamiamo “umanitario”, tra virgolette: montato ad arte, nei giorni della maggior crisi venezuelana, per sbancare il presidente regolarmente eletto, in favore di un fantoccio costruito negli States e autoproclamatosi presidente. Utile per destabilizzare la regione venezuelana di frontiera, ma non così tanto disponibile per soccorrere i Pemon ed i migranti, una volta che hanno varcato il confine!
Il governo chavista non è esente di critiche e errori. Il principale, che pochi denunciano perché è una scelta di politica economica di quasi tutta l’America Latina, è l’estrattivismo portato all’estremo: buona parte dell’economia nazionale venezuelana dipende dal petrolio e dall’industria mineraria, compresa l’importazione di generi essenziali come alimenti e medicinali.
Il paese non si è preoccupato di diversificare l’economia, avendo una delle riserve petrolifere più grandi del mondo. Per questo, le potenze-avvoltoio degli Stati Uniti, Russia e Cina sorvolano queste regioni, cercandone il controllo politico o, se necessario, militare.
È da condannare anche l’uso sproporzionato della forza militare venezuelana contro la popolazione.
È da condannare anche l’uso sproporzionato della forza militare venezuelana contro la popolazione.
Si condanna da sola, a nostro parere, l’ingerenza politica di molti paesi, riuniti nel Gruppo di Lima, che non riconoscono il governo di Maduro e considerano l’autoproclamato Guaidó alla stregua di un capo di stato.
Questi paesi da una parte lanciano l’allarme della crisi umanitaria, ma dall’altra propongono di stringere ancor di più il cappio dell’embargo commerciale al Venezuela.
Si stima che le sanzioni ed il blocco economico degli USA, dal 2013 al 2017, abbiano causato la perdita di tre milioni di posti di lavoro e circa 350 miliardi di dollari. I venti milioni di aiuti promessi appaiono, così, più un’operazione puntuale di propaganda che una azione coordinata e continuativa di sostegno al paese.
L’instabilità è installata nella regione e durerà molto, apparentemente.
Noi missionari cerchiamo di comprenderne le ragioni, appoggiare vie d’uscita rispettose della sovranità nazionale, soccorrere ed integrare i migranti che fuggono dalla violenza e dalla fame.
(articolo scritto in marzo 2019)
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