Ha vinto la strategia dell’odio, della paura e della rivolta.
Sentimenti che difficilmente si possono consolidare in progetto politico di grande respiro.
A meno che… alla base delle elezioni in Brasile e dell’onda populista e conservatrice di vari paesi del mondo non ci sia un piano ben architettato.
Dietro le quinte dell’elezione di Donald Trump e di Jair Bolsonaro ci sono personaggi come Roger Stone e Steve Bannon. Quest’ultimo, mentore della coalizione euroscettica The Movement, ha anche promosso recentemente in Italia corsi per leaders cattolici, lasciando trasparire un piano contro Papa Francesco e la dottrina sociale della Chiesa.
Proviamo a ricostruire alcuni ingredienti del piatto amaro di questa vittoria.
Molti degli elettori di Bolsonaro si dichiarano visceralmente “anti-PT”. Malgrado i limiti del Partito dei Lavoratori, questo sentimento di rigetto è stato alimentato da un uso spregiudicato di notizie false e calunnie, architettate ad arte negli ultimi tre anni e utilizzato in maniera sfrenata durante la campagna elettorale.
La forza di voto più consistente per la destra conservatrice è venuta da due gruppi in solida crescita nello scenario ideologico, economico e politico del Brasile: i grandi proprietari terrieri e le chiese evangeliche.
Il voto a Bolsonaro è una bandiera che molti impresari vogliono conficcare nelle tante terre ancora “libere” (secondo loro) per l’agribusiness e lo sfruttamento minerario: la foresta amazzonica, le terre indigene e le proprietà collettive degli afrodiscendenti. Disboscata già per il 20% della sua estensione, se non si interrompe questo saccheggio l’Amazzonia raggiungerà in breve un punto di inflessione, a partire dal quale non sarà più in grado di auto-alimentarsi come bioma ed entrerà in un meccanismo irreversibile di degenerazione. Il rischio della “savana amazzonica” sta aumentando considerevolmente.
Le chiese protestanti neopentecostali da tempo stanno investendo in una lobby di politici che difenda i loro interessi economico-religiosi. Nel nuovo scenario parlamentare, avremo meno deputati e senatori professori e medici, per esempio, e più pastori evangelici e militari. Il loro discorso insiste sull’ordine sociale e la moralizzazione dei costumi. In molti casi ciò viene inteso come diritto alla repressione (a volte violenta) di chi è considerato come una minaccia o non si comporta secondo il modello prestabilito de convivenza.
Se la rabbia è stato uno degli elementi determinanti, spicca in particolare il richiamo ormonale lanciato dal presidente eletto all’orgoglio maschilista e bianco. Con un linguaggio diretto e grossolano, Bolsonaro & Co. hanno inanellato dichiarazioni razziste e sprezzanti (salvo successive smentite o ridimensionamenti), facendo appello ad un ideale di purificazione sociale e adeguamento delle minoranze alla volontà espressa dalla maggioranza.
Un ultimo ingrediente frequentemente utilizzato in questi mesi è stato lo scontentamento collettivo. Mascherando un programma politico assolutamente antipopolare, che difende le riforme sul lavoro ed il congelamento delle spese nell’educazione e salute pubblica per i prossimi venti anni e prevede la riduzione dei diritti pensionistici, il candidato militare ha fatto leva sui classici elementi che agglutinano rabbia e insoddisfazione: la disoccupazione, l’aumento crescente della violenza, il dramma della immigrazione venezuelana.
Offre soluzioni facili, inefficaci e pericolose a problemi complessi: armare la popolazione, aumentare il potere militare sul controllo dell’ordine sociale, saccheggiare le risorse naturali per rivitalizzare l’economia, eliminare gli avversari dalla scena politica (vedremo fino a che punto arriverà questa sua dichiarazione, rilasciata una settimana prima del voto di ballottaggio).
Si tratta di cammini che giocano al ribasso e smontano il fragile capitale di coscienza civile che si stava pian piano ricostruendo dopo la dittatura militare.
Il piatto amaro di una vittoria populista e arrogante è servito. Ancora non sappiamo fino a che punto avvelenerà ancor più la società brasiliana ed il futuro di questo paese.
Sentimenti che difficilmente si possono consolidare in progetto politico di grande respiro.
A meno che… alla base delle elezioni in Brasile e dell’onda populista e conservatrice di vari paesi del mondo non ci sia un piano ben architettato.
Dietro le quinte dell’elezione di Donald Trump e di Jair Bolsonaro ci sono personaggi come Roger Stone e Steve Bannon. Quest’ultimo, mentore della coalizione euroscettica The Movement, ha anche promosso recentemente in Italia corsi per leaders cattolici, lasciando trasparire un piano contro Papa Francesco e la dottrina sociale della Chiesa.
Proviamo a ricostruire alcuni ingredienti del piatto amaro di questa vittoria.
Molti degli elettori di Bolsonaro si dichiarano visceralmente “anti-PT”. Malgrado i limiti del Partito dei Lavoratori, questo sentimento di rigetto è stato alimentato da un uso spregiudicato di notizie false e calunnie, architettate ad arte negli ultimi tre anni e utilizzato in maniera sfrenata durante la campagna elettorale.
La forza di voto più consistente per la destra conservatrice è venuta da due gruppi in solida crescita nello scenario ideologico, economico e politico del Brasile: i grandi proprietari terrieri e le chiese evangeliche.
Il voto a Bolsonaro è una bandiera che molti impresari vogliono conficcare nelle tante terre ancora “libere” (secondo loro) per l’agribusiness e lo sfruttamento minerario: la foresta amazzonica, le terre indigene e le proprietà collettive degli afrodiscendenti. Disboscata già per il 20% della sua estensione, se non si interrompe questo saccheggio l’Amazzonia raggiungerà in breve un punto di inflessione, a partire dal quale non sarà più in grado di auto-alimentarsi come bioma ed entrerà in un meccanismo irreversibile di degenerazione. Il rischio della “savana amazzonica” sta aumentando considerevolmente.
Le chiese protestanti neopentecostali da tempo stanno investendo in una lobby di politici che difenda i loro interessi economico-religiosi. Nel nuovo scenario parlamentare, avremo meno deputati e senatori professori e medici, per esempio, e più pastori evangelici e militari. Il loro discorso insiste sull’ordine sociale e la moralizzazione dei costumi. In molti casi ciò viene inteso come diritto alla repressione (a volte violenta) di chi è considerato come una minaccia o non si comporta secondo il modello prestabilito de convivenza.
Se la rabbia è stato uno degli elementi determinanti, spicca in particolare il richiamo ormonale lanciato dal presidente eletto all’orgoglio maschilista e bianco. Con un linguaggio diretto e grossolano, Bolsonaro & Co. hanno inanellato dichiarazioni razziste e sprezzanti (salvo successive smentite o ridimensionamenti), facendo appello ad un ideale di purificazione sociale e adeguamento delle minoranze alla volontà espressa dalla maggioranza.
Un ultimo ingrediente frequentemente utilizzato in questi mesi è stato lo scontentamento collettivo. Mascherando un programma politico assolutamente antipopolare, che difende le riforme sul lavoro ed il congelamento delle spese nell’educazione e salute pubblica per i prossimi venti anni e prevede la riduzione dei diritti pensionistici, il candidato militare ha fatto leva sui classici elementi che agglutinano rabbia e insoddisfazione: la disoccupazione, l’aumento crescente della violenza, il dramma della immigrazione venezuelana.
Offre soluzioni facili, inefficaci e pericolose a problemi complessi: armare la popolazione, aumentare il potere militare sul controllo dell’ordine sociale, saccheggiare le risorse naturali per rivitalizzare l’economia, eliminare gli avversari dalla scena politica (vedremo fino a che punto arriverà questa sua dichiarazione, rilasciata una settimana prima del voto di ballottaggio).
Si tratta di cammini che giocano al ribasso e smontano il fragile capitale di coscienza civile che si stava pian piano ricostruendo dopo la dittatura militare.
Il piatto amaro di una vittoria populista e arrogante è servito. Ancora non sappiamo fino a che punto avvelenerà ancor più la società brasiliana ed il futuro di questo paese.
1 commento:
wow ... al rovescio :(
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