“Il Brasile è sempre stato, ed è tuttora, una macina che tritura le persone.
Ci siamo costruiti bruciando milioni di indigeni. Poi, abbiamo incendiato milioni di neri. Oggi stiamo bruciando e consumando milioni di meticci brasiliani, nella produzione non di ciò che consumano, ma di ciò che dà profitto alle classi degli impresari” (Darcy Ribeiro, 1995).
Negli ultimi articoli cercavamo di tenervi aggiornati sulla profonda crisi politica in Brasile, narrando mese a mese ciò che ci sembrava avanzare e ciò che ci preoccupava.
Fermiamoci, però, per guardare da più lontano. Saliamo più in alto, al di sopra della cappa di fumo stantia in cui il Paese respira da tempo. Cerchiamo nuovi orizzonti.
Non è facile trovarli, perché in questo tempo insieme ai diritti, allo stato sociale e ad una protezione minima per le categorie più deboli si stanno smontando relazioni più profonde, come la disponibilità al dialogo, l’onestà di condotta, la coerenza tra il dire ed il fare, il confronto leale (anche se duro) con chi la pensa diversamente.
Crescono invece il fanatismo, l’esclusione razzista, le soluzioni violente. Dove si nasconde la speranza?
Come in altri paesi del mondo, cerchiamo nuove forme per “stare insieme da cittadini” (forse chiamandola così riusciamo a dare un volto più attraente alla Politica).
Ci hanno provato in Spagna, poi in Grecia... anche qui in Brasile è stato lanciato un movimento partecipativo per ripensare la politica “dal basso, cercando di superare la crisi attuale, che non è solo di questo governo, ma di un sistema che si è esaurito”. Si chiama Raiz, la Radice. Si ispira ai valori delle nostre culture ancestrali: il Teko Porã (vivere bene, nella cultura indigena Guaranì), l’Ubuntu (“Sono poiché siamo”) e l’Ecosocialismo.
Qualsiasi proposta popolare, in Brasile, deve contemplare il tema dei beni comuni e del territorio, visto che la maggior parte dei conflitti (e lo stesso colpo di stato) sorgono anche per il controllo di questi patrimoni.
Dobbiamo seguire con attenzione le iniziative che vanno in direzione ostinata e contraria: gli indigeni Ka’apor del Maranhão e le ronde forestali di vigilanza contro il taglio degli alberi; il popolo Munduruku* e l’auto-demarcazione dei suoi territori, con la vittoria significativa contro i megaprogetti idroelettrici sul fiume Tapajòs; il municipio colombiano di Pijao** (il primo latinoamericano dalla Rete Città Slow) con il referendum che ha bandito le attività minerarie da tutto il territorio comunale; la rete agro ecologica Ecovida, nel sud del Brasile, che da più di vent’anni promuove organizzazione sociale, produzione e commercializzazione di alimenti senza agrochimici, aggregando 2000 famiglie di agricoltori e 10 cooperative...
Il potere locale fa la differenza, riflette Papa Francesco. Nel locale “possono nascere una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più generosa, un profondo amore per la propria terra” (LS 179).
Forse gli orizzonti locali sono ancora ristretti. Ma sicuramente ci ridanno il gusto della partecipazione, dell’impegno e del bene comune, che sono principi dalla cui linfa nascerà qualcosa di nuovo!
* Il Governo brasiliano ha dovuto cancellare l’anno scorso la licenza ambientale dell’idroelettrica São Luiz do Tapajós, prevista nel cuore dell’Amazzonia. Avrebbe inondato la terra Sawré Muybu dell’etnia Munduruku e decine di comunità fluviali nella regione.
** In Colombia la Corte Costituzionale ha autorizzato i municipi a proibire le attività minerarie nei loro territori. Una eventuale decisione in questo senso è vincolante e obbliga lo Stato a rispettarla e garantirla.
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