domenica 11 giugno 2017

Rivoluzione dal basso

Il 28 aprile è stata una data storica, in Brasile.
Da più di vent’anni non si realizzava uno sciopero generale, convocato collettivamente da tutte le forze sindacali, con partecipazione massiccia della popolazione. 

Anche la chiesa cattolica ha preso posizione chiara, molti vescovi hanno invitato la gente a riprendere in mano il diritto alla partecipazione e ricostruire coraggiosamente il ruolo della politica popolare.

Attraversiamo una crisi politica vile e deludente, segnata da un golpe bianco e dal fango della corruzione, con rivelazioni e denunce incrociate che si spargono a macchia d’olio.
Il presidente illegittimo sta inanellando una serie di riforme antipopolari, con la complicità di un sistema mediatico alleato al grande capitale, a beneficio degli speculatori finanziari di cui è fantoccio politico: ha congelato le spese di salute ed educazione pubblica per i prossimi vent’anni e smontato una serie di diritti fondamentali finora protetti dalla legge sul lavoro; si muove con estrema facilità ed un forte appoggio parlamentare verso la privatizzazione di diversi beni comuni e l’eliminazione dei vincoli legali che stanno bloccando nuovi grandi progetti, efferati e devastanti dal punto di vista ambientale.

Il Paese sembrava immerso in uno stato di torpore collettivo, a causa della disillusione e dell’intensa manipolazione dei mezzi di comunicazione di massa.
Ma l’intensificarsi dell’arroganza del Governo ha fatto traboccare il vaso. In modo organizzato e prevalentemente nonviolento, 40 milioni di persone sono scese in strada. Un atto popolare che riposiziona completamente la scacchiera del potere politico: “il campo popolare è vivo e ha la forza per affrontare il golpismo ed il neoliberalismo” – ha commentato un rispettabile analista politico.

Volnei (agricoltore) e Cristiane (professoressa) hanno preparato lo sciopero con le loro due figlie. La loro foto è commovente: piena di speranza per il futuro e di indignazione, perché giochi sporchi di potere glielo stanno rubando.

Scendere in strada è un atto di civiltà; manifestare e protestare, rivendicando diritti negati, è una scuola di vita.
Ce lo insegnava don Lorenzo Milani, 50 anni fa, dibattendo con i cappellani militari: “Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto”.

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