Ne volevano parlare anche in Senato. Raramente un Carnevale è stato così polemico.
E non s’erano mai visti capi indigeni -17 in tutto, delle più diverse etnie- sfilare nel Sambodromo di Rio con orgoglio e tanto appoggio popolare.
Quest’anno la scuola carnevalesca Imperatriz Leopoldinense ha scelto come tema della sua spettacolare sfilata “Il grido che viene dalla foresta”.
Il tema indigeno, che spesso decora in modo folkloristico ed inoffensivo costumi e colori delle notti carioca, questa volta ha diviso l’opinione pubblica, perché toccava la ferita delle contraddizioni brasiliane.
Il testo scelto per il samba che ritmava la danza della scuola Leopoldinense trattava delle minacce che questi popoli soffrono fin dalla colonizzazione del Paese e mostrava quanto il “progresso” anche oggi provoca ferite incurabili nelle terre indigene e nell’ambiente.
Si faceva riferimento alla polemica diga idroelettrica di Belo Monte, nel cuore dell’Amazzonia, costruita passando come un bulldozer sui diritti delle popolazioni tradizionali che vivono nella regione e sulle decine di processi giudiziari che ne dimostravano l’illegalità. Un’ala intera della sfilata trattava il tema degli agrotossici, urgentissimo e grave, già che il Brasile è il paese al mondo in cui se ne fa il maggior consumo.
I senatori legati all’agribusiness sono andati su tutte le furie. Spaventati dal carnevale, hanno dimostrato quanto il loro modello economico-politico è insostenibile ed ha bisogno di difendere la sua immagine a tutti i costi, per camuffare i suoi veri impatti.
I media, confermando evidente dipendenza dai grandi capitali finanziari e dalla forza politica dei latifondiari, hanno soffiato sul fuoco. Una televisione nazionale è giunta ad affermare che se i popoli indigeni non accettano le condizioni del progresso brasiliano, dovrebbero in coerenza “morire di malaria”, senza accesso alle medicine dei bianchi.
Il governo installatosi dopo il golpe dell’anno scorso infragilisce sempre più gli organi e le leggi che dovrebbero difendere i diritti indigeni, diminuendo le possibilità di riconoscimento della proprietà delle loro terre e minacciando di aprirle allo sfruttamento minerario.
La leader indigena Sonia Guajajara riconosce che “questo carnevale può politicizzare il dibattito e così rafforzare la lotta dei nostri popoli”.
“Lottare non è un verbo intransitivo”, dice il Movimento dei Lavoratori Rurali Sem Terra (MST). Ogni denuncia deve avere il coraggio di fare nomi e indicare responsabilità.
Quest’anno anche il carnevale l’ha fatto, confermando che il grande responsabile per il massacro dei popoli indigeni in Brasile è l’agribusiness.
I movimenti social o i canali alternativi di comunicazione non avranno mai tanta forza per comunicare con tale intensità l’emozione e l’indignazione che ci ha trasmesso una scuola di samba nella notte del Carnevale più famoso del mondo.
Ancora una volta, quindi, l’arte e l’organizzazione popolare si sono alleate per mostrare, con bellezza e dignità, che il Brasile può suonare nuovi ritmi nel samba della vita.
Il Carnevale, storicamente ironia delle contraddizioni di ogni società, ci aiuta a sognare strade nuove, in cui sicuramente anche Dio starà danzando!
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