Anno nuovo, vita
nuova!
Realmente, qui in
Brasile ci rendiamo conto che “non saremo più gli stessi”. É una frase che
ascoltiamo molto, dopo tutto quel che è successo nel 2016 e che abbiamo cercato
di raccontarvi in questa pagina, a partire di storie “dal basso”.
Un presidente che
in molti consideriamo illegittimo ha scalzato un governo già di per sé molto
contaminato dalla corruzione. Ma la storia non è cambiata, anzi, sta peggiorando.
La recessione
economica che si prevedeva nel governo Dilma era del 3,5% del PIL. Dopo sette
mesi di governo del presidente Temer la prospettiva è del 7%. La disoccupazione
è passata da 10 a 12 milioni di persone da un mandato all'altro. La “promessa
magica” di riorganizzazione del Paese e crescita economica gridata ai quattro
venti dai golpisti non si è realizzata.
Non saremo più gli
stessi perché tutta questa instabilità e la polarizzazione degli schieramenti
nei mesi passati, incentivata da un'intensa manipolazione mediatica, ci hanno
restituito un paese ferito, diviso ed oggi disilluso. Alcuni dicono: “forse non
siamo mai stati una nazione, ma un agglomerato di persone che occupano lo
stesso territorio”.
In questo senso,
il riconoscimento della “plurinazionalità” del nostro Paese potrebbe essere
anche un passo avanti, come lo è stato in Bolivia ed Ecuador grazie alle
Costituzioni nazionali. Ma neppure nei piccoli tasselli del grande
mosaico-nazione del Brasile la gente riesce a garantire il controllo dei suoi
territori.
Gli indigeni
Akrãtikatêgê del Parà ogni anno organizzano una gara tipica della loro cultura:
diverse squadre corrono, a staffetta, caricando sulle spalle un pesante tronco
d'albero, fino all'arrivo.
Mi sembra una
buona metafora del peso che sta sempre più schiacciando le comunità
tradizionali e, in generale, chi vive alle periferie.
Tra il 2004 ed il
2012 il Brasile era riuscito a diminuire dell'80% la deforestazione
dell'Amazzonia. Negli ultimi quattro anni, però, questo saccheggio è aumentato
del 35%, soprattutto per minori investimenti nella lotta contro il taglio
illegale di alberi e a causa del disastroso Codice Forestale approvato tre anni
fa.
Quando le comunità
locali cercano di imporre strategie di autodifesa del territorio e dei beni
comuni, la violenza impune stronca la resistenza. Negli ultimi tre mesi sono
stati assassinati e mutilati sei leaders indigeni del popolo Guajajara, nel
Maranhão: diversi di loro si erano opposti al contrabbando di legname e
all'invasione delle terre indigene.
Eppure la speranza
non manca!
Nel Maranhão, per
esempio, i diversi gruppi schiacciati da questa violenza si stanno incontrando
tra loro, nella “Tela di Popoli e Comunità Tradizionali”. Il mese scorso si è
realizzato il quinto incontro, con condivisione di storie di resistenza ed
autonomia, nella prospettiva ispiratrice del “Bem Viver”, la visione profonda
della vita che gli indigeni ci possono ancora insegnare.
Anche i vescovi di
tutta l'Amazzonia si sono riuniti, a novembre scorso, ripensando una Chiesa in
chiave amazzonica e orientata verso l'orizzonte dell'ecologia integrale (LS
137); “La memoria dei primi missionari -dicono- ci aiuta a vincere la paura di
aprire nuovi cammini”.
Uno di essi è
proposto a tutta la Chiesa dal Movimento Cattolico Globale per il Clima: la
celebrazione del Tempo Liturgico della Creazione, dal 1 settembre (giornata
mondiale di preghiera per la cura del creato) al 4 ottobre (festa di San
Francesco d'Assisi). Un tempo di sensibilizzazione, conversione ed azioni concrete
della Chiesa, a tutti i livelli, per tradurre in pratica la Laudato Si, andare
oltre gli slogan e poter sul serio dare ragione della nostra speranza: anno
nuovo, vita nuova!
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