Mentre scriviamo, il Brasile attraversa i giorni piú delicati negli ultimi trent’anni della sua fragile democrazia. Il Partito dei Lavoratori (PT) è stato protagonista di riforme politiche importanti durante il Governo Lula (2003-2010): i suoi progetti di inclusione sociale sono riusciti a riscattare piú di 16 milioni di persone dal livello di povertá estrema.
Come recita il nostro inno nazionale, sembrava che il gigante si stesse realmente svegliando. Anche se appoggiato a politiche estrattive e neocoloniali, che ripetevano in un periodo di alti prezzi delle commodities i vecchi schemi del saccheggio ed esportazione delle risorse naturali.
Con la crisi
economica, si è svelata la debolezza di questo piano. In parallelo, la necessità di mantenersi al potere ha negoziato progressivi sconti sui principi
ideologici, i valori e le priorità politiche, spostando sempre più la marcia
del governo da sinistra verso posizioni neoliberali.
Il sentimento di potere, e forse la percezione che non sarebbe durato ancora per molto, ha favorito il marciume sotterraneo della corruzione.
Il tutto amplificato da un sistema elettorale che fino all’anno scorso permetteva il finanziamento delle imprese ai partiti, scambiando così l’appoggio economico in campagna elettorale con la restituzione di favori politici negli appalti dei grandi progetti.
Il sentimento di potere, e forse la percezione che non sarebbe durato ancora per molto, ha favorito il marciume sotterraneo della corruzione.
Il tutto amplificato da un sistema elettorale che fino all’anno scorso permetteva il finanziamento delle imprese ai partiti, scambiando così l’appoggio economico in campagna elettorale con la restituzione di favori politici negli appalti dei grandi progetti.
Eppure, malgrado le
contraddizioni, il progetto politico del PT aveva vinto le ultime elezioni di
ottobre 2014. La maggioranza del Paese, ancora profondamente segnato dalla
disuguaglianza nell’accesso ai diritti fondamentali, riconosceva il pericolo di
una svolta neoliberale: associare il potere politico al controllo economico
delle elite finanziarie significherebbe il retrocesso del cammino di inclusione
dei poveri.
I partiti
all’opposizione non hanno digerito la sconfitta elettorale. I gruppi d’elite
sono sempre piú spaventati perché la crisi economica mondiale sta cominciando
ad intaccare i loro interessi, affari e stile di vita.
Nei prossimi anni il
Brasile dovrà disputare politicamente ed economicamente il controllo e la
destinazione dei profitti di grandi giacimenti di petrolio scoperti lungo la
sua costa atlantica. Recentemente, la capitolazione di governi democraticamente
eletti, sia in Paraguay che in Honduras, non ha destato rivolte eccessivamente
critiche, mantenendo così i nuovi poteri affermatisi con la forza.
A partire da questo
scenario, incredibilmente, si stanno conformando condizioni anche in Brasile
per quello che molti definiscono un possibile ‘golpe bianco’. Nel nostro
sistema presidenziale, diverso da quello italiano, la sfiducia ad un governo è
data dai cittadini solo tramite nuove elezioni, dopo un mandato di quattro
anni.
Eppure, una
alleanza di interessi trasversali sta portando alla possibilità di un colpo di
stato travestito nei panni di una costituzionalità ben poco convincente.
Il
ruolo dei media, ancora una volta, è decisivo. Soprattutto in un paese in cui
esiste un controllo di poche famiglie sui principali canali televisivi ed il
74% delle persone assiste alla TV tutti i giorni.
Non c’è spazio per
approfondire meglio la situazione. Ci troviamo in un momento molto delicato,
che corre il rischio di una deriva istituzionale e che già sta alimentando
posizioni fondamentaliste e atteggiamento politici messianici, in cui nuove
figure si propongono come i nuovi eroi di una purificazione nazionale della
corruzione. Paradossalmente, però, questa purificazione si sta concentrando
solo su un gruppo di partiti, quelli attualmente al potere, rivelando così la
sua strumentalizzazione.
Il Paese è diviso,
il livello polemico dei dibattiti è aumentato al punto di non riuscire più
nemmeno ad ascoltarsi con rispetto, la violenza è a livelli allarmanti, la
politica ha perso quasi completamente di credibilità ed occorrerà tempo per
riscattare il suo valore. In prospettiva, qualsiasi siano gli sviluppi
immediati di questa situazione, ci attendono tempi di forte conflitto sociale.
Una volta ancora, le principali vittime di questa instabilità saranno i più
poveri.
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