venerdì 18 dicembre 2009
La bellezza dell'avvento
sabato 14 novembre 2009
Nel paese dei balocchi

martedì 29 settembre 2009
Si chiamavano Maria

lunedì 21 settembre 2009

Brasile, missionario fatto inginocchiare
e ucciso con due colpi di pistola
Don Ruggero Ruvoletto era originario di Vigonovo. Era stato direttore del centro missionario della Diocesi di Padova. Tre sospetti arrestati per omicidio
19 settembre 2009
mercoledì 2 settembre 2009
Per te, dal nonno Edvar
lunedì 10 agosto 2009
Una donna cosí non puó morire!
mercoledì 15 luglio 2009
Amicizia

mercoledì 17 giugno 2009
Andiamo all'altra riva!

mercoledì 27 maggio 2009
Personaggi in cerca di autore

Riflessioni sparse sulla nostra identitá
“Chi siete? Dove andate? Un fiorino!”
Tutti ricordiamo la scena spassosa di Troisi e Benigni nel film “Non ci resta che piangere”.
Ebbene, oggi sono queste le due domande che regolano le relazioni tra i popoli: Chi siete? Dove andate? E chi non puó dimostrare di essere 'dei nostri' o tranquillizarci perchè solo di passaggio... non gli resta che piangere!
Anche Dio, quando scelse di abitare in mezzo a noi, dovette subito capire che oltre a “farsi carne” occorreva anche “farsi carta”: sans papier non si va da nessuna parte, e cosí in quel tempo Dio fu iscritto nel censimento di Augusto. Schedato, controllato, confinato nel destino del popolo in cui nacque.
Avere un'identitá é un rischio, dipendendo dal Paese che te la concede.
Qui da noi, in Brasile, la sete di identitá é evidente; un popolo meticcio, dalle mille radici, invaso e agitato da mille influenze culturali... oggi vuole dire chi é!
Un piccolo simbolo é il bisogno di appartenenza, evidente per l'uso dell'uniforme. Uniforme per andare a scuola, uniforme della chiesa a cui appartengo, del corso che sto facendo, del lavoro, del coro musicale, del santo a cui sono piú devoto... tutti vogliono l'uniforme!
Pensandoci bene, l'identitá te la stampano dentro, a partire dalla tenera etá del pre-scuola quando tutti uguali, alla stessa ora, con la stessa maglietta si entra in aula.
Siccome la scuola non riesce a far trovare un'identitá piú profonda, marchia i nostri piccoli con il trucco a buon mercato del senso di appartenenza. E cosí loro crescono, fin dall'inizio, con il bisogno di appartenere a qualcuno o qualcosa... e la paura di “chi non é dei nostri”.
É una scuola che sembra proclamare ancora i valori del ventennio di influenza militare: attraverso l' uni-forme (stessi colori e simboli imposti sul corpo dei bambini) manifesta l'obiettivo piú o meno conscio di controllo mentale su di loro.
Infine, l'uniforme serve, qui da noi in Brasile, per nascondere le disuguaglianze marcanti tra chi puó permettersi di cambiare vestito uma volta al giorno e chi non ha nemmeno una maglietta decente per entrare in aula. Una democrazia formale che scompare appena i bambini tornano a casa, rivestendo ciascuno le condizioni della realtá a cui appartiene.
Insomma, com'é difficile dire di avere un'identitá propria... che ci fa diversi gli uni dagli altri e ricchi di queste differenze! Com'é raro poterla affermare liberamente, difenderla e cercarla in modo autonomo!
In questo senso, ringrazio Dio che come missionario vivo ancora com un permesso di soggiorno temporaneo: figlio di piú popoli, libero di abitare con ciascuno di essi e di costruire a poco a poco la persona che immagino viva dentro di me.
mercoledì 20 maggio 2009
Crisi, disoccupazione e Parola di Dio

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi» (Mt 20, 1-16)
“Perché siete disoccupati?”
Dio stesso si fa questa domanda, preoccupato per la situazione di tante famiglie che vivono alla mercé di un sistema economico basato sulla ricerca insaziabile del guadagno. Anche la chiesa, oggi, deve ripetere la stessa domanda, in un momento difficile di crisi mondiale e locale.
Perché c'é disoccupazione? Chi l'ha creata? Da dove viene la crisi? Quali sono le responsabilitá locali?
Sono molto importanti, in ogni cittá e regione del nordest del Brasile, momenti collettivi di dibattito sulla crisi, incontri pubblici e dialogo costruttivo, alla ricerca di vie d'uscita.
La nostra chiesa auspica che ogni segmento coinvolto in questo sforzo abbia il coraggio e la trasparenza di riconoscere gli errori e le responsabilitá: non possiamo accettare, semplicemente, che in questo momento di difficoltá il peso e le conseguenze ricadano solo sulle spalle dei lavoratori.
“Il padrone uscí e uscí di nuovo...”
Dio, nella parabola del Vangelo, non si limita alle domande, non analizza il fenomeno dietro il tavolo del suo ufficio o solo attraverso gli articoli di un giornale: esce all'incontro dei lavoratori piú e piú volte, dialoga con loro, cerca soluzioni e piste di azione.
La preoccupazione di Dio é che, alla fine della giornata, ciascuno abbia la sua moneta d'argento da portare a casa, per alimentare la sua famiglia e garantire la dignitá quotidiana.
É anche la preoccupazione delle nostre parrocchie e dei movimenti sociali: dare opportunitá a tutti di guadagnare il pane di ogni giorno. Questo é il compito piú importante della Politica: offrire condizioni e opportunitá di vita per tutti/e!
Che ciascuno abbia diritto ad una educazione di qualitá, alla formazione professionale, all'accesso diversificato al lavoro. Che i piccoli produttori trovino uno sbocco sul mercato e siano in condizione di trasportare i prodotti dalla campagna alla cittá; che siano previsti finanziamenti accessibili per la piccola imprenditoria.
La crescita economica disordinata e non pianificata delle nostre regioni pre-amazzoniche si deve a politiche irresponsabili di finanziamento per grandi imprese e proprietari, per non parlare della “politica del saccheggio” che lungo gli anni ha succhiato le risorse locali creando poche opportunitá e favorendo una minoranza che accumula (cf. il ciclo dello sfruttamento del legno pregiato, delle segherie che hanno distrutto la foresta locale, dell'allevamento, dell'estrazione minerale e della produzione siderurgica).
Il capitale difende sempre i suoi interessi: é la Politica che deve difendere gli interessi dei lavoratori e il dialogo tra le parti. Purtroppo i professionisti della politica, invece di uscire nelle piazze in ascolto di chi cerca lavoro e pane, restano nei loro uffici in complicità con i grandi imprenditori che finanziano le loro campagne.
La missione della chiesa é difendere la dignitá della persona tutta intera e di tutte le persone, specialmente i piú minacciati ed esclusi: difendiamo in modo intransigente i diritti dei piú dimenticati e lavoriamo perché essi divengano attori responsabili del loro stesso benessere.
Con Dio, oggi nuovamente ripetiamo con decisione le parole del Vangelo.
“Voglio dare a questo, che é ultimo, lo stesso che ho dato a te”: uno sforzo di promuovere giustizie e pari opportunitá a tutti/e. Occorre, quindi, un'inversione sociale delle nostre opzioni: “Gli ultimi siano i primi, e i primi gli ultimi”, in modo che chi piú ha bisogno riceva di piú, e chi ha meno bisogno riceva di meno.
La chiesa desidera partecipare attivamente al dialogo permanente tra la societá civile organizzata, i poteri pubblici e gli impresari, alla ricerca di cammini che attutiscano la crisi e costruiscano progressivamente una societá in cui non ci siano primi e ultimi, ma semplicemente, umanamente, fratelli e sorelle.
sabato 4 aprile 2009
Puó un profumo smuovere le pietre?
Era una pietra molto grande, e loro avevano solo... un po' di profumo. Il profumo non smuove le pietre.
“Chi toglierá per noi la pietra dal sepolcro?”: erano rimaste la notte intera con questa domanda in testa. Anche oggi la stessa domanda martellante si impone dentro di noi e nelle nostre comunitá, durante molte notti.
Le pietre da rotolare per noi sono numerose:
- la corruzione di chi ha comprato il potere e ora vende i suoi favori;
- la sensazione di essere la discarica industriale delle grandi imprese dalla faccia pulita (nel nord del mondo) e dai piedi sozzi che calpestano i poveri;
- l'alcol e la violenza sessuale (anche contro bambini e adolescenti), specchio di un vuoto di valori e prospettive: invece di svuotare i sepolcri, si stanno svuotando i nostri sogni.
Chi toglierá per noi queste pietre? Graças a Deus, tre donne non si sono fermate alla domanda e hanno accettato la sfida: andarci lo stesso a quella pietra, 'armate' solo dei loro profumi.
Quali sono i nostri profumi? Vorrei che sentiste il profumo dei 60 gruppi di preghiera nelle case, che per cinque settimane si sono riuniti per leggere e capire insieme la Bibbia e la realtá.
Il profumo di celebrazioni in cui la nostra gente tocca con mano la resurrezione, cantando la vita, raccontando le loro storie, stringendosi le mani. É poco, lo so, ma il profumo si usa in piccole dosi.
La fragranza di alcuni giovani che si stanno appassionando per la stessa causa che difendiamo noi, e li sentiamo un po' figli, un po' fratelli minori...
Per la loro fede e ostinazione, le donne sono state ascoltate e la pietra era rotolata via, in quella mattina di un giorno nuovo, primo giorno di una nuova storia.
C'era peró da varcare quella soglia: non é sufficiente smuovere le pietre, se non abbiamo anche noi il coraggio di entrare nel sepolcro, assumere il conflitto, guardare in faccia le forze di morte che minacciano la nostra gente... e anche stare dentro alle contraddizioni pur non vedendo soluzioni o cambiamenti immediati. A volte, per una pietra che si smuove, sembra che se ne ammucchino altre dieci: ci vuole il coraggio di entrare e stare nel sepolcro, prima di riuscire a vedere la resurrezione.
Cosí viviamo oggi, nella pre-Amazzonia ricca di violenza e di potenzialitá: un piede nel sepolcro, l'altro giá in corsa per dire a tutti della vita che non muore.
Buona Pasqua!
mercoledì 25 febbraio 2009
Açailândia-Piquiá: perché tutto abbia vita
Quale missione alla frontiera ambientale?
Stiamo attraversando un tempo di crisi che dall'economia risale fino ad intaccare il nostro modello di vita, di produzione e scambio, di convivenza tra le culture e di visione del mondo, dell'umanità e di Dio. Nel mezzo di questa confusione feconda e provocante, anche i missionari comboniani si stanno facendo molte domande sul loro futuro e sulle priorità della missione.
Dal piccolo della nostra comunità, inserita nel cuore di gravi conflitti socio-ambientali, raccontiamo un'esperienza che insiste su nuove frontiere missionarie.
Come tutti i missionari, veniamo da lontano, sia nello spazio che nel tempo: il nostro gruppo raccoglie e continua l'esperienza di vent'anni di cammino di altri fratelli che hanno speso la loro vita alle porte di questa Amazzonia del Maranhão.
1. Leggere i segni dei tempi e scegliere il posto giusto come missionari
Dopo una decina d'anni, sorge la necessità di dividere in due la comunità per andare a vivere nel quartiere operaio. Ancora una volta, la realtà parla più forte dei principi o della tradizione: nasce la comunità di Piquiá, che vive sulla pelle le contraddizioni del quartiere-dormitorio e la fatica delle famiglie degli operai e dei disoccupati. Intanto, l'altra metà della comunità rimasta più vicina al centro cittadino aveva già fondato insieme ad alcuni laici il centro di Difesa della Vita e dei Diritti Umani, oggi alleato competente e prezioso nella formazione politica popolare e nel controllo delle politiche pubbliche locali. Attualmente le due comunità continuano con attività decentrate ma con una forte ricerca del consenso e della fraternità.
Dopo 16 anni, però, una rilettura del contesto ci stimola a riorientare la nostra missione, ridefinendo il contesto territoriale lungo tutto il corridoio di Carajás. È la sfera di influenza della più grande multinazionale dell’estrazione del ferro (Vale), contesto minimo in cui poter comprendere e assumere una strategia di trasformazione della realtà. Questa volta si rompe la rigidità dei confini e dei territori di appartenenza, di riferimento (preoccupazione tipicamente parrocchiale).
La comunità sente la sfida di una parziale itineranza, per risvegliare e formare líderes di “comunità di giustizia ambientale”: comunità dove si proponga un modello di sviluppo rispettoso dei ritmi e delle risorse della terra e della gente (celebrazione della vita e del lavoro di ogni giorno, agricoltura familiare, piccola produzione, gestione forestale, controllo delle attività delle grandi imprese, etc).
Per fortuna, la coordinazione del gruppo comboniano presente nel Brasil Nordeste ha una linea chiara che ribadisce con decisione la priorità di Giustizia, Pace e Integrità del Creato, liberando così la creatività e la passione di chi, inserito nel cuore delle contraddizioni, si sente costantemente provocato e desidera aprire cammini nuovi.
2. Il senso del nostro stare qui
Ci troviamo al ‘Portal da Amazônia’: sulla porta d’ingresso dell’Amazzonia, porta che in molti desiderano chiudere lasciando alle spalle identità territoriale, appartenenza culturale e biologica al ricchissimo sistema forestale, fatto di gente, di terra e di acqua, di vita pulsante.
Siamo sulla frontiera: qui la chiamano ‘arco do desmatamento’, la grande mezzaluna della devastazione che si addentra ogni anno più a nord, cancellando un semicerchio alla volta quello che la vita ha intessuto per millenni.
Dietro di noi una identità territoriale che sta scomparendo, davanti a noi la paura che tutto si replichi anno dopo anno senza controllo. Stare qui, nel bel mezzo tra il passato e il futuro, è per scavare trincee di resistenza, arginare la sete di sviluppo a costo della vita degli altri, cicatrizzare le ferite da cui il sangue e le risorse vengono quotidianamente succhiate.
“Un angelo che saliva dal sol levante, il quale aveva il sigillo del Dio vivente gridò a gran voce: «Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi, finché non abbiamo segnato sulla fronte, con il sigillo, i servi del nostro Dio» (Ap 7)
“Vidi un nuovo cielo e una nuova terra. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo da presso Dio. «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»” (Ap 21)
3. Che tipo di missionario?
Per vivere e lavorare in questa linea, prima di tutto non basta un individuo, occorre una comunità missionaria: una presenza di questo tipo richiede continuità negli anni, affinità con le scelte e la linea della gente, pluralità di intervento nelle diverse sfere della vita del popolo: tutto questo non può essere assunto da una sola persona, riesce a stare in piedi solo se è una scelta e una prassi comunitaria continuamente rinnovata e calibrata.
In questo momento abbiamo il dono di una comunità del genere e stiamo cercando di investire tutte le nostre forze per renderla sempre più consapevole del suo ruolo: ci spetta una analisi seria e costantemente aggiornata degli interessi e dei conflitti che regolano la vita della regione (interessi economici, progetti di investimento, alleanze e prospettive politiche, conflitti regionali o etnici, eredità storica, religiosa e culturale, etc).
Il nostro sforzo maggiore vuole essere costruire altre comunità cristiane, fondate sulla stessa lettura della Parola e della storia. Per questo insistiamo molto sulla formazione di base e di líderes e sulla comunicazione alternativa.
4. Come stiamo agendo?
Abbiamo definito priorità ecclesiali chiare (partecipazione politica, ministerialità, comunicazione e difesa ambientale). Grazie a questo, le comunità sono stimolate ad assumere le loro scelte e a sviluppare l'interpretazione biblica progressivamente alla luce di queste priorità.
Stiamo costruendo una rete di contatti regionali per rafforzare le persone e i piccoli gruppi che lottano per gli stessi obiettivi, in contesti simili ma frammentati e divisi dagli interessi privati.
Ad un livello più ampio, si tesse anche una rete internazionale per aiutare la gente a comprendere quanto la loro situazione è frutto di un modello perverso di sviluppo, diffuso a livello mondiale.
Da fine 2007 (e con un forte rilancio al Forum Sociale Mondiale di Belém) la campagna “Justiça nos Trilhos” (Sui binari della giustizia) articola questa rete di contatti e si pone obiettivi molto concreti nel controllo socio-ambientale della più grande multinazionale del ferro al mondo (Vale do Rio Doce). La campagna, iniziata dai comboniani, ora raccoglie l'adesione diretta di alcune diocesi locali, università, movimenti e reti di giustizia ambientale, sindacati, avvocati e associazioni di magistrati, giornalisti e associazioni di difesa dei diritti umani. La libertà e l'autorità morale che abbiamo, come missionari, ci permettono e impongono di assumere in prima persona la battaglia: una volta schierati con serietà e questa rete di collaboratori competenti, firmiamo l'impegno a partecipare alla causa per molti anni a venire...
E così la comunità comboniana si trova a vivere con un piede ben saldo sul suolo della nostra gente di Açailândia, rafforzando le comunità cristiane di base e il legame affettivo con le famiglie; l'altro piede, però, si sposta continuamente in cerca di alleanze, per rafforzare il peso politico delle nostre rivendicazioni, denunciare le situazioni poco umane del nostro territorio e divulgare 'aternativa possibile.
5. Qual è la base teologico-pastorale che ci sostiene?
- Spiritualità ecologica
All'origine di molte nostre vocazioni forse c'è quel versetto-chiave del libro dell'Esodo (3,7): “Ho udito il grido del mio popolo. Per questo sono sceso, per liberarlo”. Le nostre scelte missionarie sono orientate da questo grido, un desiderio di inserzione e liberazione.
Ma oggi, forte tanto quanto il grido del popolo, ci angustia il silenzio assordante della vita che non c'è più. Contesti ambientali completamente distrutti, equilibri di vita saltati, deserti di monoculture al posto di ecosistemi ben integrati con il lavoro dei piccoli produttori, progetti minerari che succhiano le viscere della terra e dei popoli che vi abitano...
L'anello più debole della catena è il primo ad essere schiacciato; quando la vittima non ha voce, tutto sembra meno grave e violento. L'ambiente soffre questa discriminazione senza poter alzare la voce (oppure tutta in una volta, nei disastri naturali).
Per questo, occorre completare il passaggio dell'Esodo: “Ho udito un silenzio preoccupante, innaturale. Per questo sono sceso, per restituire voce e vita a questa terra ferita”.
La natura geme e soffre in attesa di questo nuovo parto. Chi ha uno spirito missionario soffre con lei. E lo stesso Spirito di Dio, che continua a soffiare sulla grande confusione e violenza di oggi, soffre con noi nel desiderio intenso di nuovi cieli e nuova terra.
- Religione: una ‘visione nuova’
La maggioranza dei miti della creazione nacquero in epoche di conflitto sociale, come tentativi di giustificare gli squilibri della storia. Vivendo in tempo di conflitto, l'umanità giudicava che esso fosse il riflesso di dinamiche violente nel cielo (conflitto tra divinità). La cosmogonia di molte culture nacque proprio da questa interpretazione distorta iniziale. Il mondo è violento perché gli dei sono violenti, o, quanto meno, sanno “farsi rispettare”!
Le relazioni tra tutte le creature continuarono ad essere regolate da questo modello. Cos’è che ha valore e si afferma? La persona e il sistema che riescano ad imporre un ordine violento, mettendo fine in questo modo ad ogni conflitto.
Si tratta della teologia e sociologia della forza, di relazioni dualiste e androcentriche, della competizione e della lotta per la sopravvivenza. La stessa natura, nelle sue regole più elementari di selezione naturale, conferma questo schema.
Anche diversi passaggi della storia della religione cristiana rafforzano questa lettura: si afferma un ‘Dio’ forte, controllore, Padre-Patriarca, ordinatore del cosmo, dal quale non si può fuggire (e che punisce e corregge con fermezza chi disobbedisce all’ordine stabilito).
Al servizio di questo ‘Dio’ esiste una casta privilegiata di funzionari scelti (sacerdoti, spesso appartenenti alla stessa etnia o allo stesso gruppo). Un sistema ben articolato organizza tutta la società secondo questa gerarchia divina immutabile: chi è nato per essere servo rimarrà servo, obbediente ad ogni regola indicata da ‘Dio’.
Consideriamo che il termine ‘gerarchia’ deriva dalla parola greca hieròs, che significa ‘santo’. Il sistema di potere e le relazioni di autorità e obbedienza si impongono automaticamente come derivate da ‘Dio’ e con la sua benedizione.
Questa struttura politico-economica, con una forte influenza religioso-culturale, ha avuto fin dall’inizio un impatto violento anche in ambito ecologico: il sistema di sacrifici permanenti prevedeva un saccheggio consistente delle risorse del popolo e della natura (Ne 10).
Il consumo annuale di legna era enorme, per consentire ogni giorno l’olocausto (termine che letteralmente significa 'bruciare tutto'). Il sistema di sacrificio era basato sul concetto di sangue e fuoco come elementi di espiazione e di purificazione: per ottenere perdono dal 'Dio' che mette ordine nella società occorreva lo spargimento di sangue delle vittime sacrificali, bruciando in seguito i loro corpi.
Non è questa la religione gradita al Signore!
Nel libro della Genesi, in modo affascinante, Dio parla al plurale: "Facciamo l'essere umano".
E questo Dio plurale creò (crearono) l'uomo e la donna, per completarsi, perché nessuno da solo basta a se stesso. Fin dalla creazione è stato innestato in noi il principio di responsabilità reciproca.
Pertanto, è tempo di un'alleanza delle comunitá e delle religioni, per prenderci cura della casa di tutti. É tempo di guardare al mondo come un’unica "Comunità di vita" chiamata a "sostenere la vita".
La stessa parola “Religione” viene dal latino re-ligare ed in sé è ambigua. Puó imprigionare, se come obiettivo vuole garantire la sicurezza del culto e della dottrina, della gerarchia rigida di persone, valori e norme. Ma apre orizzonti smisurati e nuovi se viene intesa come la rete invisibile dei legami universali che uniscono le persone tra loro, l'essere umano al creato, una nostra piccola storia al ciclo dell'universo.
Lungo questo intreccio di legami si muove e ci parla lo Spirito di Dio creatore, e la missione si fa interprete nuova di questo suo eterno dialogo con la creazione.
lunedì 2 febbraio 2009
Cinque presidenti al FSM

Maria das Graças, indigena ecuadorena, li ha salutati com parole chiare, mostrando tutte le aspettative che i popoli originari ripongono in loro, dopo anni di sofferenza e esclusione: “non perseguitateteci piú! Rispettateteci, vi chiedo solo questo, nulla in piú”.
Graça, una delle coordinatrici del FSM, ha continuato con la stessa decisione, denunciando il pericolo di cedere definitivamente al modello di sviluppo divoratore della gente e della natura: “assistiamo a un forte disimpegno delle istituzioni rispetto alle risorse naturali e al futuro delle nostre popolazioni. La deforestazione sta distruggendo anche le nostre popolazioni, specialmente i popoli originari”.
Ma lo spazio alla critica non é stato molto (tra le diecimila persone del pubblico un buon gruppo, a quanto sembra, é stato intrufolato per appoggiare Lula e evitare i fischi e le contestazioni del'ultimo FSM di Porto Alegre).
In ogni caso, l'appoggio attuale al presidente brasiliano é molto ampio, e innegabilmente ci troviamo di fronte a uma nuova tappa della storia politica dell'America Latina.
Un tornitore meccanico, un vescovo della liberazione, un índio (“con la faccia di índio”, risalta Lula), un giovane economista e un soldato giá imprigionato per un precedente tentativo di colpo di stato e poi scelto e apoggiato dalla gente: Lula, Fernando Lugo, Evo Morales, Rafael Correa e Hugo Chavez riuniti allo stesso tavolo parlando ai delegati del FSM.
La congiuntura é nuova e puó aprire alla speranza; tutti gli interventi sottolineano che questa tappa della storia latinoamericana é stata costruita da tempo, viene da lontano e si fonda sulla lotta popolare per la democrazia. “Sono frutto della vostra lotta contro il neoliberismo”, dice Morales; “Siamo riflesso di ció per cui il popolo ha lottato. Una America indigena, meticcia, negra: dopo secoli, sta diventando realtá”, aggiunge Correa.
I popoli boliviano e ecuatoriano celebrano in questo passaggio storico le loro nuove costituzioni (quella boliviana é stata approvata dal 60% del Paese proprio domenica scorsa): una Carta dei Diritti dei popoli indigeni nella prospettiva di ricostruire la Pachamama, la Grande Madre latinoamericana.
Tutti i presidenti richiamano all'urgenza e alla possibilitá storica di integrare i popoli dell'America Latina. Correa sottolinea che si tratta di “una necessitá di sopravvivenza” e chiede che si acceleri il processo per la creazione del Banco del Sur. Inoltre critica la Organizaciòn dos Estados Americanos (OEA), ancora molto dipendendente da Washington, e rilancia l'idea di una autogestione latinoamericana, includendo finalmente “nuestra hermana Cuba”.
Non mancano le difficoltá e gli intoppi diplomatici, come il caso della potentissima centrale idroelettrica di Itaipu, i cui proventi attualmente sono strappati dal Brasile al Paraguai: Lugo non evita di citare il problema, dicendosi molto ottimista per uma soluzione, che porterebbe sviluppo e ricchezza al suo popolo paraguaio.
L'ex vescovo cattolico sottolinea che l'America Latina é ricchissima di risorse e potenzialitá, deve solo trovare l'orgoglio e la capacitá tecnica di gestirle in autonomia.
É forte la ribellione contro il neoliberismo e l'imperialismo statunitense, e Lula ripone molte attese anche sul “negro Obama, figlio di uma terra che solo 40 anni fa ha assassinato Martin Luther King”.
Piú di un presidente fa cenno al “socialismo del secolo XXI”: Chavez specifica che non ha piú senso il cliché “capitalismo=efficienza, socialismo=giustizia”. “Siamo capaci di costruire un socialismo giusto e efficiente, com un ruolo equilibrato dello stato, un'attenzione specifica all'ambiente e la scelta di un modello di sviluppo responsabile e sostenibile”, rafforza Correa, che fa molti richiami alla Dottrina Sociale della Chiesa ma grida il suo dolore nel considerare che é proprio il continente piú cattolico ad essere il piú disuguale del mondo. “Il gesto piú comune di Gesú, in molti momenti della sua vita, é stato spezzare il pane. Possibile che noi qui non riusciamo a spezzare e ripartire le nostre risorse per tutti?”
Morales dá le prospettive e la sfida per il futuro: “Dobbiamo assumere uma nuova tappa di integrazione dei nostri paesi, contro l'intrusione e la cospirazione degli Stati Uniti”. Propone quattro campagne, quattro aree di lavoro:
una campagna mondiale per la pace e la giustizia (richiama specialmente la Palestina, l'Afganistan e l'Iraq, trascurando anche lui le guerre dimenticate di molti paesi africani). Esige uma riforma radicale dell'ONU.
una campagna per un nuovo ordine economico internazionale; esige una riforma radicale di BM e FMI e chiede che l'indicatore di sviluppo non sia piú il PIL, ma l'indice di suddivisione della ricchezza.
una campagna per salvare il Pianeta, mutando i modelli di consumo
una campagna per la dignitá umana contro il consumismo: valorizzare l'umanitá, seppellire il capitalismo. Un simbolo per questo lavoro di riscatto delle culture popolari e contro il consumo della gente potrebbe essere, per Morales, la foglia di coca: per i popoli indigeni é alimento, fonte di vita; non possiamo lasciare che diventi, come tutto il resto del mondo di consumo, sostanza stupefacente e distruttrice delle persone.
FSM: contraddizioni e risposte

Ogni forum mondiale é uno spazio di contraddizioni: ci trovi di tutto e di piú.
Anche il Forum Mondiale di Teologia e Liberazione há messo in luce contrasti e paradossi; ne consideriamo due.
Un conflitto evidente, nella mente e nella pratica di alcuni, é tra la teologia e prassi della liberazione e l'analisi ecologica, la difesa della vita e dell'ambiente.
Ad alcuni pare che la teologia della liberazione debba occuparsi semplicemente dei poveri, del conflitto di classe, dell'opzione per gli ultimi. Pensare all'ambiente sarebbe sviarsi, distrarsi dalla lotta, tradire la gente. Invece non esiste nessun contrasto, al contrario, uma profonda connessione tra due vittime: uomini e donne messi ai margini, che gridano la loro rivolta, e l'ambiente messo in ginocchio, soffocato in silenzio. Li troviamo insieme, vittime dello stesso sistema.
Chi soffre per gli irresponsabili megaimprendimenti industriali nel sud del mondo é l'ambiente e la gente povera delle periferie, su cui ricade inquinamento e tutte le conseguenze degli equilibri ambientali stravolti. L'alleanza tra queste due vertenti (il grido dei poveri e il silenzio soffocato della natura in agonia) é il nuovo orizzonte per la liberazione integrale della Vita. Segue i percorsi del socio-ambientalismo.
Ma un altro grande constrasto emerge dalla critica alla teologia della liberazione: dicono che le comunitá di base latinoamericane si occupino troppo del 'sociale' (come se fosse possibile distinguere la convivenza sociale da ogni altra sfera esistenziale, emotiva, spirituale...). Dicono che sia troppo 'orizzontale' e si dimentichi del mistero, di Dio, si fermi al presente e perda la trascendenza. Peró la violenza ambientale e il grido soffocato della Vita che ci scappa dalle mani sono per ogni credente un profondo richiamo ad allargare e approfondire i suoi orizzonti. Noi che assumiamo la sfida dei poveri e della difesa del creato facciamo la scelta di una sorta di 'ecologia della mente'.
Entriamo in una logica molto piú ampia di noi stessi; sentiamo che ci muoviamo e siamo dentro un universo ben piú grande. Relativizziamo le nostre dimensioni e ci includiamo nel ciclo vitale universale: oltre a me e a noi, c'é l'umanitá, ci sono altre creature vive, c'é il nostro pianeta, c'é l'universo intero...
Al contrario, chi si chiude in sfere di spiritualitá isolate si rintuzzisce e spegne. Chi sente il pulsare della vita e si batte per rianimarla amplifica i suoi sensi e percepisce che anche Dio palpita nella storia.
Avanti, dunque, articolando resistenza e alternative coraggiose a chi si fa beffe del creato, riduce la vita al profitto, allo sfruttamento intensivo della terra, allo spasimo di succhiare tempo e risorse, competere per crescere e crescere, piú in alto di tutti!
La parola 'Religione' viene dal latino re-ligare. Tocca a te scegliere: ti imprigioni se ti leghi all'illusione che il culto e la dottrina sono il senso della vita. Si spalanca il mondo davanti a te se scegli la religione per seguire i legami universali che uniscono le persone tra loro, l'essere umano al creato, uma nostra piccola storia al ciclo dell'universo.
Lungo questo intreccio di legami si muove e ci parla lo Spirito di Dio creatore.
venerdì 23 gennaio 2009
Impastiamo teologia...

Come magi in cammino verso Belém (la nostra Betlemme brasiliana), sono entrate per la porta d'Amazzonia alcune centinaia di 'assetati di Dio', per poter partecipare al Terzo Fórum Mondiale di Teologia e Liberazione (FMTL). Cristiani e non cristiani, insieme alle religioni tradizionali afro e indigene; pochi membri istituzionali e molte persone in ricerca di senso e di vita.
Gli amici del Pará, terra esuberante del nord del Brasile, ci hanno accolto parlando di Betlemme (Bet lehem, in ebraico 'casa del pane'). “La Casa del Pane sia la casa di tutti”, ci hanno detto. Quindi, ci sia pane e vita per tutti: é per questo che siamo nati... e per questo anche il Bambino é nato a Betlemme.
Il FMTL si occupa del pane della ricerca di Dio. C'é molta fame anche di questo, açtrimenti le lotte che porteremo avanti tra pochi giorni al Fórum Social Mundial perderebbero spessore e senso e si incrinerebbero al primo colpo. C'é fame di Dio, ma non solo di sentirlo sulla pelle (come molte religioni oggi offrono al consumo individuale): fame di riflettere su Dio, di capirlo, di ascoltarlo ascoltandoci.
“Teologia é pensare Dio, ma ció ci é appena possibile, e se lo possiamo é soprattutto per pensare il mondo con il punto di vista di Dio”.
Impastiamo teologia nella Casa del Pane, quindi, per pensare il mondo e metterci del lievito buono. É un lavoro fatto dai piccoli: líderes comunitari, pastori, gruppi religiosi e minoranze etniche.
La teologia di questo Fórum usa la grammatica della differenza, declina lo Spirito in varie lingue e culture: ci stiamo rendendo conto tutti, progressivamente, che Dio parla nelle molte lingue della Pentecoste e non ammette di essere ridotto ad uma unica definizione.
Se la grammatica é la differenza, l'armonia delle varie narrazioni di Dio ci viene dalla bellezza. Bellezza dei simboli, della celebrazione, della vita. Bellezza, anche, del semplice stare insieme ad ascoltarsi, per scoprirsi.
Uma parola si distacca in questi primi giorni di Fórum Teologico: 'co-spirare', che é 'respirare insieme', assumere la sfida di rigenerare la vita e seguire, coraggiosi e com speranza, il soffio dello Spirito.
giovedì 8 gennaio 2009
Camminando con i Magi

É passata da poco la festa dei Magi, persone in cammino, immagine di tutti noi.
Chi cercate, o Magi?
Sono anche le prime parole di Gesú nel Vangelo di Giovanni: cercare qualcosa, avere una direzione chiara, sapere dove stiamo andando (pur in tutte le incertezze del percorso) è ció che dá senso profondo alla vita.
C’è, chiaramente, la felicitá delle piccole cose, degli incontri e della quotidianità… ma come abbiamo bisogno, ogni tanto, di guardarci indietro e riconoscere che, sí, stiamo camminando, abbiamo una direzione.
Fin qui tutto bene, siamo d’accordo. Si tratta, in fondo, di vivere consapevoli e padroni della propria storia. Vivere, e non ‘lasciarsi vivere’.
Ma la sorpresa dei Magi è un’altra: non sono loro a pianificare il cammino, non hanno mappe né sono partiti sapendo dove andavano. Stanno seguendo una stella, obbedendo a una luce-guida.
La cercano nel cielo e tra le persone, la vedono, poi scompare, ma chiedono e frugano di nuovo nelle pieghe della gente e dei popoli che attraversano.
E cosí non si perdono, e la loro strada da sempre affascina generazioni che parlano di loro e, anch’esse, cercano nuove Betlemme.
Nella Bibbia esistono alcune persone chiamate cosí, a camminare fidandosi e cercando. La maggior parte della gente vive nelle loro case, ma nella Bibbia Dio sceglie una tenda e alcuni compagni per un cammino senza posare il capo: Abramo, Giacobbe, Mosé, Andrea, Pietro, Maria Maddalena…
È come se dicesse loro: “Voi mi appartenete, andiamo. Cerchiamo ancora luoghi in cui il Vangelo si possa fare carne”.
La mia piccola esperienza è cosí: per molti kilometri mi sento padrone del cammino e protagonista dei miei passi, ma quando mi fermo sento la mano di chi “mi ha afferrato” (Fil 3,12) e si prende cura della direzione giusta.
In questo tempo sento anche la mancanza di vari amici che stavano al mio fianco e che ora hanno scelto “un altro cammino”. Questo indebolisce, aumenta le domande e costringe ad aprire ancora di piú gli occhi.
D’altra parte anche i Magi, nostra icona di oggi, sono stati consigliati di scegliere “un altro cammino”. Chi conosce la tua voce, Signore, creatore e guida della nostra vita, e ascolta con attenzione, in ogni caso non perderá la strada.