“Siamo stati testimoni di un evento ecclesiale marcato dall’urgenza di un tema che provoca ad aprire nuovi cammini per la Chiesa nel territorio”.
Con queste e molte altre forti parole del Documento Finale si chiudeva, in ottobre 2019, l’Assemblea del Sinodo per l’Amazzonia.
Dopo un anno, la “Querida Amazônia” si trova ancor più in agonia, a causa della pandemia del Covid-19 e del virus di uno smisurato saccheggio.
Parecchie azioni che immaginavamo di realizzare subito dopo il Sinodo sono state congelate dalla quarantena, imposta proprio all’inizio dell’anno pastorale.
Allo stesso tempo, altre dinamiche di vita, solidarietà, organizzazione popolare, pressione e azione politica si sono messe in moto, con il protagonismo delle comunità e dei popoli amazzonici e la forte alleanza della Chiesa.
Abbiamo già descritto, in questo blog, il triplice servizio dell’ospedale di campagna dei cristiani: diagnosticare, curare, prevenire.
Però, per prendersi cura in modo integrale della vita in Amazzonia, la Chiesa deve continuare il suo profondo cammino di conversione. La sinodalità non è uno slogan, ma un processo lento e necessario alla ricerca di nuove relazioni dentro di ogni comunità cristiana, nella gestione pastorale di una diocesi, nella partecipazione delle chiese locali quanto al magistero, ai modi e alle priorità di evangelizzazione della Chiesa universale.
Più che una parola “di moda”, è una nuova architettura, che riparte dalle pietre finora scartate e che debbono divenire testate d’angolo. In primis, le donne, laiche.
Come sappiamo, l’esortazione Querida Amazônia si è tenuta molto indietro su questo punto. Ma le donne no, non si stanno nascondendo.
In settembre, la diocesi di São Felix do Araguaia, che celebra la memoria viva del vescovo Pedro Casaldáliga, ha nominato una donna, laica, amministratrice di una parrocchia.
Uno dei frutti dell’assemblea sinodale è stata la proposta di un nuovo ministero istituito: la coordinatrice/coordinatore di comunità, che potrebbe anche essere riconosciuta a livello civile come rappresentante della comunità cristiana locale.
Inoltre, dopo il Sinodo, alcuni gruppi continuano lavorando alla proposta dell’ordinazione ministeriale di donne diacono, che era stata presentata da ben sei dei dodici circoli minori dell’assemblea in Vaticano.
Non è facile per le donne farsi spazio, in una Chiesa che fa fatica a declinarsi al femminile: la stessa enciclica che mette di più l’accento sull’inclusione universale -“Tutti fratelli”- continua a suonare incompleta, con questo titolo che esclude implicitamente la metà meno inclusa dell’umanità.
Riprovarci coi santi? A novembre Papa Francesco convocherà l’incontro mondiale di giovani economisti, imprenditori e changemakers, “per dare un’anima all’economia globale”. Si tratta de “L’economia di Francesco”, ma molti movimenti pastorali insistono nell’affiancarci il nome di Chiara. L’economia è femminile, dicono: “Proponiamo un’economia ciclica, fondata sull’accoglienza, il prendersi cura, l’affetto. Tutto ciò presuppone una transizione radicale nei modi e nelle forme della produzione lineare, mascolinizzata, che impone una visione di progresso basata nell’estrazione”.
Sono state le donne, nel Vangelo, a cogliere il passaggio dalla morte alla resurrezione di Gesù. Nella Chiesa, probabilmente, dovrà avvenire lo stesso.
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