“Quando sono arrivati, avevano la Bibbia, e noi la terra. Ci dissero: chiudete gli occhi e pregate. Quando li abbiamo aperti, noi avevamo la Bibbia e loro la terra”.
La critica dei popoli indigeni è forte. La Chiesa riconosce la sua complicità nella lunga storia di occupazione latinoamericana. La Conferenza di Puebla (1979) la definisce “un gigantesco processo di dominazioni”.
Nella sua visita in Chiapas, nel 2016, Papa Francesco ha chiesto perdono per “l'espropriazione e la contaminazione delle terre delle popolazioni indigene, perpetrate da persone intontite dal potere, dal denaro e dalle leggi di mercato".
Il Sinodo speciale per l’Amazzonia, in pieno corso, riconosce ancor oggi segni evidenti di un progetto colonizzatore: “I popoli originari amazzonici non sono mai stati tanto minacciati nei loro territori come lo sono ora. L’Amazzonia è una terra disputata su vari fronti”, ha denunciato Papa Francesco un anno fa, in Perú.
In Brasile, il nuovo governo sembra replicare una storia da cui, lentamente, ci stavamo scostando. Quando il fondamentalismo religioso si allea agli interessi del grande capitale, riappaiono i sintomi della colonizzazione ideologica e della riconquista dei territori.
Il nuovo Ministro della Sicurezza Istituzionale, generale dell’Esercito, ha affermato che conosce popoli indigeni che soffrono la fame, si trovano senza prospettive né medicine per curarsi. Ha dichiarato che gli indigeni vogliono essere cittadini, vogliono che i loro figli frequentino l’università. Quindi, non ha senso lasciarli isolati nelle loro terre.
Fa specie che debba essere un militare a comunicare alla nazione quali siano i desideri e progetti dei popoli indigeni, già che loro stessi si organizzano in associazioni e reti locali e nazionali, studiano la nostra cultura e le nostre leggi, hanno leaders formati in diritto, sociologia o agronomia e hanno eletto anche una deputata federale che li rappresenta.
Ma le affermazioni del generale si comprendono meglio quando si ascolta un altro brano della sua intervista: “Le demarcazioni di terra in Brasile sono state realizzate in regioni ricchissime di minerali”. Dietro la cortina di fumo dei (pochi) discorsi umanitari dell’equipe del Presidente, si nascondono consistenti interessi economici e si rivela una politica di cortissima visione.
Uno degli obiettivi del raffazzonato governo Bolsonaro, seppur diviso tra la vertente nazionalista ed una sfacciata sottomissione agli Stati Uniti, sembra essere la grande svendita del patrimonio brasiliano: dalle imprese pubbliche all’Amazzonia, dai giacimenti agli immensi riservatori sotterranei di acqua dolce.
E così, nel primo giorno del suo governo, il Presidente ha smontato le funzioni principali della Fondazione che si occupa dei popoli indigeni (FUNAI): identificare e demarcare i loro territori, controllare e proteggere le aree già demarcate. Compiti che vengono assunti dal Ministero dell’Agricoltura, dominato dai latifondiari, avversari storici degli indigeni.
Questi popoli, però, racchiudono in sé un’eredità ancestrale di resistenza e dignità. Papa Francesco diceva loro, in Perù: “Dalle vostre organizzazioni sorgono iniziative di speranza; (…) i popoli originari e le comunità sono guardiani della foresta, e le risorse prodotte grazie alla sua preservazione generano benefici per le vostre famiglie, per migliorare le vostre condizioni di vita, di salute ed educazione nelle vostre comunità”.
Prospettive molto diverse per guardare all’Amazzonia, che si preannuncia sempre più terra di conflitto.
La critica dei popoli indigeni è forte. La Chiesa riconosce la sua complicità nella lunga storia di occupazione latinoamericana. La Conferenza di Puebla (1979) la definisce “un gigantesco processo di dominazioni”.
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Il Sinodo speciale per l’Amazzonia, in pieno corso, riconosce ancor oggi segni evidenti di un progetto colonizzatore: “I popoli originari amazzonici non sono mai stati tanto minacciati nei loro territori come lo sono ora. L’Amazzonia è una terra disputata su vari fronti”, ha denunciato Papa Francesco un anno fa, in Perú.
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Il nuovo Ministro della Sicurezza Istituzionale, generale dell’Esercito, ha affermato che conosce popoli indigeni che soffrono la fame, si trovano senza prospettive né medicine per curarsi. Ha dichiarato che gli indigeni vogliono essere cittadini, vogliono che i loro figli frequentino l’università. Quindi, non ha senso lasciarli isolati nelle loro terre.
Fa specie che debba essere un militare a comunicare alla nazione quali siano i desideri e progetti dei popoli indigeni, già che loro stessi si organizzano in associazioni e reti locali e nazionali, studiano la nostra cultura e le nostre leggi, hanno leaders formati in diritto, sociologia o agronomia e hanno eletto anche una deputata federale che li rappresenta.
Ma le affermazioni del generale si comprendono meglio quando si ascolta un altro brano della sua intervista: “Le demarcazioni di terra in Brasile sono state realizzate in regioni ricchissime di minerali”. Dietro la cortina di fumo dei (pochi) discorsi umanitari dell’equipe del Presidente, si nascondono consistenti interessi economici e si rivela una politica di cortissima visione.
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1 commento:
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