Quando uno dei poliziotti viene colpito alla testa da uno sparo, l’attacco si fa ancora più violento.
Le fucilate della polizia raggiungono la stazione del treno che attraversa la favela. Due persone sono colpite dentro un vagone. Le case sono invase senza mandato del tribunale; fotografie, alla fine dell’operazione, mostrano pozze di sangue nella camera da letto e pareti schizzate di rosso.
Gli abitanti di Jacarezinho e avvocati popolari denunciano esecuzioni sommarie. Gli stessi agenti filmano il risultato del loro “lavoro”, al punto di mettere in posa un cadavere e ridicolizzarlo.
Poi, portano via i corpi avvolti in lenzuola, come se fossero sacchi di tela, eliminando il corpo del delitto e impedendo indagini chiare.
Cinque ore di operazione, 28 morti. La strage più grande della polizia nella città di Rio de Janeiro. Molti dei corpi uccisi non sono ancora stati riconosciuti, ma il Vicepresidente della Repubblica, un militare, dichiara che “non ha certezza assoluta, ma devono essere tutti banditi”.
Negli stessi giorni di inizio maggio, in Colombia, 47 persone sono assassinate dalla repressione della polizia, determinata dal Presidente Ivan Duque contro le immense manifestazioni pubbliche di protesta in corso. Lo squadrone di sicurezza Esmad, simile al Bope della polizia militare di Rio, è una forza letale, un vero e proprio esercito di strada.
In Colombia le proteste sono contro le misure neoliberali del governo, una riforma tributaria “al contrario”, che sacrifica ancora di più i poveri. Ma denunciano anche lo sgomento per la lentezza delle vaccinazioni e la rabbia per la sospensione del processo di pace e dialogo con le FARC.
Da più parti, nel continente, la protesta della popolazione è affrontata in un clima di guerra, repressione e tortura. Eppure, in vari paesi non si fermano le manifestazioni di piazza, malgrado il limite della pandemia.
Negli Stati Uniti, il movimento Black Lives Matters ha smosso milioni di persone e ha cambiato il futuro della nazione, incidendo anche sul risultato elettorale. In Cile, la protesta popolare ha finalmente provocato l’inizio di un processo di revisione costituzionale.
In Colombia, finora, ha sospeso la legge di riforma tributaria e ha ottenuto le dimissioni del Ministro della Finanza.
In Brasile, sgomenta l’ipnosi che mantiene molta gente nelle sue case: un misto di disinformazione e manipolazione ingannosa, rassegnazione a causa di mobilizzazioni anteriori che non hanno avuto sbocco, intimidazione della protesta da parte delle milizie locali e opportunismo dei latifondiari e grandi proprietari, che appoggiano lo status quo.
Speriamo che anche il gigante addormentato brasiliano riesca a svegliarsi…