Ecco un'intervista recente, per conoscere ció che viviamo e comprendere ció che sentiamo.
É un dialogo con l'amico Antonio Gaspari, di Zenit. La dedico a Zé dos Santos, l'ennesimo martire della fragile resistenza della nostra gente...
É un dialogo con l'amico Antonio Gaspari, di Zenit. La dedico a Zé dos Santos, l'ennesimo martire della fragile resistenza della nostra gente...
Avete appena
incontrato Papa Francesco, che cosa gli avete detto e cosa vi ha detto?
La
cosa piú bella che Papa Francesco ci ha detto è stata: “Io sempre, sempre, ho
avuto una grande ammirazione per voi, per il lavoro che fate, per i rischi che affrontate…
Ho sentito sempre questa ammirazione grande. Grazie”.
Aspettavamo
da tempo l’incontro con Francesco, l’abbiamo preparato durante il nostro
Capitolo Generale con un pellegrinaggio dall’altro Francesco, ad Assisi, ed
abbiamo discusso per un mese nel Capitolo su come tradurre in pratica
l’Evangelli Gaudium nella nostra missione comboniana.
Al
Papa abbiamo detto tante cose, ciascuno nei trenta secondi che ha avuto a
disposizione con lui! Credo si sia fatta una bell’idea della pluralitá della
nostra famiglia comboniana: interculturale ed immersa in sfide tanto diverse ai
quattro angoli del mondo. Chi gli ha parlato del dramma della guerra in
Centrafrica, Sud Sudan o Eritrea; chi del dialogo con l’Islam o dell’impegno
missionario con i migranti o i popoli afrodiscendenti; chi ha sottolineato la
sintonia del nostro lavoro con l’enciclica Laudato Sí, specialmente in
Amazzonia e con i popoli indigeni…
Come
dice Daniele Comboni, siamo raggi diversi, che peró partono dallo stesso
centro: l’incontro con il Buon Pastore, che ci spinge fuori e ci fa sentire il
gusto di aver l’odore delle pecore!
Lei è
particolarmente impegnato in una missione ad Açailândia, alle
porte dell’Amazzonia brasiliana, nel
punto di passaggio alla più grande miniera di ferro del mondo. La miniera e le
ferrovie sono opere umane che se giustamente utilizzate in funzione lavorativa
e sociale portano sviluppo e progresso, invece quanto sta accadendo lì, rovina
l’ambiente, fa vivere male la gente e ci sono tante vittime. Addirittura l’avidità
di alcuni è così aggressiva da sfociare in violenza e minacce contro chi cerca,
come voi, di difendere le persone e l’ambiente. Può raccontarci che cosa sta
accadendo?
Ci
troviamo nella regione di Carajás, zona di enormi giacimenti di ferro che
l’impresa Vale (dal 1997 privatizzata, diventando una delle maggiori
multinazionali minerarie) sta sfruttando da soli 30 anni.
Quando
queste riserve sono state scoperte, si diceva che sarebbero durate circa 500
anni. Ma il ritmo di estrazione è diventato forsennato, ben oltre le necessità
effettive di minerale nel mondo. E Vale
sta raddoppiando tutto il sistema, per giungere ad estrarre nel 2017 piú di 230
milioni di tonnellate all’anno.
È
chiaro, allora, che giá la prossima generazione conoscerà la fine di Carajás,
uno dei patrimoni minerari più preziosi al mondo.
L’enciclica
Laudato Sí, che dimostra di conoscere bene questi processi, riporta questo
brano che sembra il ritratto della nostra regione: “Generalmente, quando cessano
le loro attività e si ritirano, lasciano grandi danni umani e ambientali, come
la disoccupazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve
naturali, deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento
locale, crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che
non si può più sostenere” (LS 51).
Questo
modello estrattivo è emblema della follia dell’economia di oggi. Replica in
chiave moderna la pratica coloniale del saccheggio delle materie prime, ma ad
un livello esasperato di crescita senza limiti.
Ascoltiamo
ancora Laudato Sí: “All’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha
tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. Ciò
suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che
conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite. Si tratta del falso
presupposto che «esiste una quantità illimitata di energia e di mezzi
utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione è possibile e che gli effetti
negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti»”
(LS 106).
Nostra
Madre Terra è limitata ed il suo respiro si sta facendo affannato. Le
popolazioni locali lo capiscono, lo sentono nella loro carne e cercano di
difendere i territori in cui vivono, preservandoli dall’aggressione di questo
modello estrattivista.
Chi
vi si oppone, peró, corre serio pericolo…
Che
tipo di pericolo?
Il
mese scorso Raimundo dos Santos Rodrigues è stato ucciso. Era un contadino,
piccolo proprietario di terra nella riserva biologica di Gurupi e membro del
sindacato dei lavoratori della terra. La riserva Gurupi é da tempo oggetto
degli appetiti di alcuni grandi fazendeiros e dei saccheggiatori di legname
nativo (madeireiros).
La
moglie era al suo fianco nell’ora dell’attentato, è rimasta ferita ed ora deve
vivere nascosta, in fuga da chi la minaccia di morte. Piú di trenta famiglie
della stessa comunitá sono scappate, perché temono di fare la stessa fine.
Hanno abbandonato, da un’ora all’altra, case, campi e animali. Non sappiamo
come potranno ricostruirsi una vita.
Parecchie
delle nostre energie come missionari e difensori dei diritti umani si stanno
dedicando alla protezione dei leaders locali…
Noi
stessi dobbiamo agire con molta attenzione. Non abbiamo ricevuto minacce di
morte, ma nel 2013 è stata scoperta una rete di spionaggio delle nostre
comunitá religiose, entitá e movimenti sociali da parte dell’impresa Vale e
dello stesso Stato brasiliano, con accesso alle nostre comunicazioni
telefoniche e internet e infiltrando persone dentro i nostri gruppi per
anticipare le nostre strategie e fare i nomi delle persone piú attive ed
impegnate.
Immaginatevi
il clima di sospetto e insicurezza che si è installato tra noi…
Sull’intera
vicenda avete scritto un libro “Il prezzo del ferro” e creato una rete di
resistenza, può dirci qualcosa in merito?
L’abbiamo
chiamata “Justiça nos Trilhos” (Sui binari della giustizia), perché desideriamo
che la ferrovia che attraversa 100 comunitá, in 27 municipi lungo i 900 Km del
suo percorso dalla miniera al porto sull’oceano diventi un corridoio di
effettivo sviluppo, nel protagonismo di chi vi abita, nelle iniziative produttive
familiari e nel rispetto della cultura e dello stile di vita di queste
popolazioni.
È
molto importante che queste comunità (indigene, afrodiscendenti, di
agricoltori, pescatori o abitanti delle periferie urbane) sentano di essere
vittime di uno stesso sistema e che esso può cambiare nel momento in cui chi ne
è colpito organizza speranza e resistenza.
Stiamo
rafforzando ogni giorno anche l’alleanza in rete con altri movimenti e gruppi,
per far interagire le periferie con i centri di questo meccanismo di mercato.
Per
esempio, abbiamo seguito la filiera della produzione dell’acciaio e, con
l’aiuto del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, abbiamo proposto dati e
riflessioni sul “prezzo del ferro”, indicando i costi umani, sociali ed
ambientali che non sono computati dai meccanismi di mercato.
In
questa costruzione di alleanze, ci siamo avvicinati anche alla comunità di
Taranto che, dall’altra parte dell’oceano, si ribella come noi all’inquinamento
e alla morte provocati dalla siderurgica Ilva. Il minerale di ferro che cade
negli altoforni dell’Ilva è estratto proprio dalle viscere di Carajás!
Accompagnare
la violenza ed il dolore provocati da questo modello di produzione e consumo ci
porta a ripensare al valore della vita, del futuro. Papa Francesco ci insegna
che ogni creatura possiede un valore instrinseco, indipendente dal suo uso (cf
LS 140). Quando comprendiamo il valore della vita, recuperiamo la capacità di
porci dei limiti, per evitare la sofferenza o il degrado di ciò che ci circonda
(cf LS 208).
Sulle
pagine di alcuni mezzi di informazione la vostra azione viene confusa con
manifestazioni di carattere politico, e il vostro spirito evangelico di difesa
degli ultimi e dei poveri indicato come estremista. Spieghi ai lettori qual è
il fondamento del vostro agire.
Rispetto
ai mezzi di comunicazione e all’influenza che hanno i vari opinionisti di
turno, faccio mie le parole del Papa al n. 49 della Laudato Sí: “tanti
professionisti, opinionisti, mezzi di comunicazione e centri di potere sono
ubicati lontani da loro, in aree urbane isolate, senza contatto diretto con i
loro problemi. Vivono e riflettono a partire dalla comodità di uno sviluppo e
di una qualità di vita che non sono alla portata della maggior parte della
popolazione mondiale. Questa mancanza di contatto fisico e di incontro, a volte
favorita dalla frammentazione delle nostre città, aiuta a cauterizzare la
coscienza e a ignorare parte della realtà in analisi parziali.”
Non
abbiamo bisogno di giustificare a nessuno perché stiamo dalla parte dei poveri.
Ma
voglio “darne ragione”, cioè provo ad indicare il significato che ha per noi.
Ci
dà gioia e senso. La nostra coscienza, i nostri sentimenti e la nostra umanità
sono profondamente provocati e continuamente risvegliati nello stare accanto
alla gente più semplice, agli esclusi e alle vittime.
Non
si sta bene, tra i poveri, perché anche lì c’è egoismo, conflitto, rabbia, delusione.
Ma sicuramente si è più umani, e quindi più divini.
Dio
si è incarnato (e non l’ha fatto tra i ricchi) proprio per farci capire questo.
Per farci sentire la bellezza del lottare insieme, del cercare la vita e
difenderla fino allo stremo. La bellezza di scoprire ragioni di speranza anche
nel dolore più profondo.
Camminare
insieme alle vittime ti fa capire bene cosa significhi “sperare contro ogni
speranza”.
Mi accorgo che, in questo cammino, la sete di giustizia e il bisogno
di misericordia si avvicinano fino a coincidere e dare il senso più profondo
alla vita.