Lima, novembre
2013. Una trentina di persone consacrate e laiche, provenienti da Peru,
Equador, Colombia, Cile, Brasile, Argentina, Honduras, Salvador e Guatemala si
incontrano per dialogare sui conflitti provocati dalle imprese minerarie contro
le comunità che accompagnano.
Durante
l’incontro, Ramiro Taish (indigena del popolo Shuar, equatoriano) e César
García, líder comunitario colombiano, vengono uccisi nelle loro terre a causa
delle loro denuncie.
Brasilia,
dicembre 2014. È la seconda tappa di questo processo di dialogo, che nel
frattempo ha preso il nome ‘Iglesias y Minería’. Questa volta si riuniscono
quasi cento persone, da 13 diversi paesi del continente. Il tema è lo stesso, i
problemi –forse- sono peggiorati.
Durante
l’incontro, riceviamo notizia della morte di José Tendetza, anch’egli indigena
Shuar (foto). Affrontava imprese minerarie cinesi e canadesi che stanno aggredindo
sempre piú la sua gente e la sua terra. Stava viaggiando dal suo villaggio
verso la capitale del Perú, Lima, per partecipare alla COP20, la Conferenza
delle Parti in dialogo sul cambio climatico. Avrebbe denunciato anche là le
contraddizioni del modello estrattivo. Ma non è arrivato: gli hanno teso
un’imboscata e lo hanno eliminato.
È a causa di
questa violenza e in nome di queste persone che la chiesa di base
latinoamericana si sta organizzando ed incontrando sempre più spesso. Per
difendersi, per cercare speranza, per denunciare l’ingiustizia di questo
modello che molti credono sia ‘di sviluppo’. E per cercare alternative, di valori
e di pratiche di vita.
Magari, nel
frattempo, in Italia molte chiese si stanno preoccupando di rinnovare, sui loro
altari, il luccichio degli oggetti sacri. Il prezzo dell’oro, negli ultimi
dieci anni, è passato da 13mila fino a 40mila $ al Kg. E in America Latina la
depredazione dell’oro, dopo 500 anni di storia coloniale, miete sempre più
vittime e provoca profonde ingiustizie ambientali.
Nessun altro
elemento ha sedotto e tormentato tanto l’immaginazione umana. Non è
indispensabile per l’esistenza ed ha molto poche applicazioni pratiche. Ma fin
dal tempo dei faraoni era chiamato “carne degli dei” e l’epoca moderna lo ha
trasformato nel cemento dell’economia globale.
Per estrarre la
quantità di oro necessaria per un anello, occorre in media esplodere, sviscerare,
frantumare e setacciare più di 250 tonnellate di roccia e terra. Per ogni
grammo d’oro, i processi estrattivi di piccola scala riversano nell’ambiente da
2 a 5 grammi di mercurio, contaminante tossico che affetta il cervello ed il
sistema nervoso. Alcuni metodi sostituiscono al mercurio… il cianuro.
Il peggio è che
anche l’estrazione di altri materiali apparentemente utili non risponde più a
logiche di necessità o produzione, ma soprattutto a interessi finanziari e
giochi di mercato in borsa.
L’esempio più
eclatante è quello del ferro: il prezzo del ferro è caduto vertiginosamente
nell’ultimo anno, dimezzandosi, eppure paradossalmente le maggiori imprese
estrattive stanno aumentando la produzione e genereranno nel 2015 un surplus di
minerale estratto e inutilizzato di più di 140 milioni di tonnellate! È la
logica del profitto delle tre maggiori corporazioni minerarie al mondo:
spremere la terra e le sue risorse, stracciare i prezzi, eliminare i piccoli
concorrenti che non reggono tempi lunghi senza molti guadagni e garantirsi
l’oligopolio della produzione e del mercato azionario.
Qual è il ruolo
delle chiese in questa follia autodistruttiva? Essere coscienza dentro al
sistema impazzito. Gridare l’allarme con la voce delle vittime al cui fianco
camminiamo.
Due mesi fa,
l’osservatore permanente del Vaticano all’ONU in Ginevra, mons. Tomasi, ha
dichiarato al Forum su Imprese e Diritti Umani che l’economia dev’essere
umanizzata, che le imprese ricevono dai governi e dalla popolazione una
“licenza sociale per operare” e quindi il profitto non può essere l’unica loro
ragione di essere. Ha anche dichiarato, con perplessità, che è difficile
“credere che le imprese si auto-regolino volontariamente”: sono urgenti
“strumenti vincolanti che rafforzino gli obblighi morali delle imprese”.
Qui in Brasile,
da parte nostra, continuiamo a camminare a fianco dei piccoli, che per noi sono
i vincoli e gli obblighi morali piú autorevoli, da ascoltare, rispettare e
servire.