lunedì 2 febbraio 2009

Cinque presidenti al FSM


Maria das Graças, indigena ecuadorena, li ha salutati com parole chiare, mostrando tutte le aspettative che i popoli originari ripongono in loro, dopo anni di sofferenza e esclusione: “non perseguitateteci piú! Rispettateteci, vi chiedo solo questo, nulla in piú”.
Graça, una delle coordinatrici del FSM, ha continuato con la stessa decisione, denunciando il pericolo di cedere definitivamente al modello di sviluppo divoratore della gente e della natura: “assistiamo a un forte disimpegno delle istituzioni rispetto alle risorse naturali e al futuro delle nostre popolazioni. La deforestazione sta distruggendo anche le nostre popolazioni, specialmente i popoli originari”.
Ma lo spazio alla critica non é stato molto (tra le diecimila persone del pubblico un buon gruppo, a quanto sembra, é stato intrufolato per appoggiare Lula e evitare i fischi e le contestazioni del'ultimo FSM di Porto Alegre).
In ogni caso, l'appoggio attuale al presidente brasiliano é molto ampio, e innegabilmente ci troviamo di fronte a uma nuova tappa della storia politica dell'America Latina.

Un tornitore meccanico, un vescovo della liberazione, un índio (“con la faccia di índio”, risalta Lula), un giovane economista e un soldato giá imprigionato per un precedente tentativo di colpo di stato e poi scelto e apoggiato dalla gente: Lula, Fernando Lugo, Evo Morales, Rafael Correa e Hugo Chavez riuniti allo stesso tavolo parlando ai delegati del FSM.

La congiuntura é nuova e puó aprire alla speranza; tutti gli interventi sottolineano che questa tappa della storia latinoamericana é stata costruita da tempo, viene da lontano e si fonda sulla lotta popolare per la democrazia. “Sono frutto della vostra lotta contro il neoliberismo”, dice Morales; “Siamo riflesso di ció per cui il popolo ha lottato. Una America indigena, meticcia, negra: dopo secoli, sta diventando realtá”, aggiunge Correa.

I popoli boliviano e ecuatoriano celebrano in questo passaggio storico le loro nuove costituzioni (quella boliviana é stata approvata dal 60% del Paese proprio domenica scorsa): una Carta dei Diritti dei popoli indigeni nella prospettiva di ricostruire la Pachamama, la Grande Madre latinoamericana.

Tutti i presidenti richiamano all'urgenza e alla possibilitá storica di integrare i popoli dell'America Latina. Correa sottolinea che si tratta di “una necessitá di sopravvivenza” e chiede che si acceleri il processo per la creazione del Banco del Sur. Inoltre critica la Organizaciòn dos Estados Americanos (OEA), ancora molto dipendendente da Washington, e rilancia l'idea di una autogestione latinoamericana, includendo finalmente “nuestra hermana Cuba”.

Non mancano le difficoltá e gli intoppi diplomatici, come il caso della potentissima centrale idroelettrica di Itaipu, i cui proventi attualmente sono strappati dal Brasile al Paraguai: Lugo non evita di citare il problema, dicendosi molto ottimista per uma soluzione, che porterebbe sviluppo e ricchezza al suo popolo paraguaio.
L'ex vescovo cattolico sottolinea che l'America Latina é ricchissima di risorse e potenzialitá, deve solo trovare l'orgoglio e la capacitá tecnica di gestirle in autonomia.
É forte la ribellione contro il neoliberismo e l'imperialismo statunitense, e Lula ripone molte attese anche sul “negro Obama, figlio di uma terra che solo 40 anni fa ha assassinato Martin Luther King”.
Piú di un presidente fa cenno al “socialismo del secolo XXI”: Chavez specifica che non ha piú senso il cliché “capitalismo=efficienza, socialismo=giustizia”. “Siamo capaci di costruire un socialismo giusto e efficiente, com un ruolo equilibrato dello stato, un'attenzione specifica all'ambiente e la scelta di un modello di sviluppo responsabile e sostenibile”, rafforza Correa, che fa molti richiami alla Dottrina Sociale della Chiesa ma grida il suo dolore nel considerare che é proprio il continente piú cattolico ad essere il piú disuguale del mondo. “Il gesto piú comune di Gesú, in molti momenti della sua vita, é stato spezzare il pane. Possibile che noi qui non riusciamo a spezzare e ripartire le nostre risorse per tutti?”

Morales dá le prospettive e la sfida per il futuro: “Dobbiamo assumere uma nuova tappa di integrazione dei nostri paesi, contro l'intrusione e la cospirazione degli Stati Uniti”. Propone quattro campagne, quattro aree di lavoro:

  • una campagna mondiale per la pace e la giustizia (richiama specialmente la Palestina, l'Afganistan e l'Iraq, trascurando anche lui le guerre dimenticate di molti paesi africani). Esige uma riforma radicale dell'ONU.

  • una campagna per un nuovo ordine economico internazionale; esige una riforma radicale di BM e FMI e chiede che l'indicatore di sviluppo non sia piú il PIL, ma l'indice di suddivisione della ricchezza.

  • una campagna per salvare il Pianeta, mutando i modelli di consumo

  • una campagna per la dignitá umana contro il consumismo: valorizzare l'umanitá, seppellire il capitalismo. Un simbolo per questo lavoro di riscatto delle culture popolari e contro il consumo della gente potrebbe essere, per Morales, la foglia di coca: per i popoli indigeni é alimento, fonte di vita; non possiamo lasciare che diventi, come tutto il resto del mondo di consumo, sostanza stupefacente e distruttrice delle persone.


1 commento:

Unknown ha detto...

Si, se qualche speranza può arrivare nel mondo attuale, essa sembra possa venire solo dal continente latino-americano. Un saluto dall'Italia